Telluserra
Maria Lanciotti: Cantuccio della fantasia. Leggende indiane (Terza parte)
14 Novembre 2007
 

CASA E FAMIGLIA

 

(Parla Capo Orso in Piedi:)

“La casa era il nostro cuore, la nostra forza e il nostro sapere.

Le donne la tenevano in ordine, cucinavano, acconciavano le pelli, fabbricavano mocassini, sacche e acconciature.

Nel tipi c’era sempre cibo cucinato e pronto anche per ospiti inattesi. Se capitava uno straniero gli veniva dato un bastone appuntito, veniva fatto passare da tipi a tipi e ogni famiglia infilzava nel suo bastone un po’ di carne secca.

Nel tipi il cibo veniva servito in piatti di legno con cucchiai di corno. Veniva distribuito dalla madre, la persona più importante dopo la nonna. I vecchi venivano considerati con molto rispetto ed essi raccontavano bellissime storie e tenevano vive le memorie delle tribù. Gli uomini ricevevano molte premure ed essi, al mattino, acconciavano i capelli delle mogli e gli dipingevano il viso. Le pitture sul viso servivano anche per proteggere la loro pelle che era chiara e delicata.

I lakota avevano molta cura per i loro figli e si preoccupavano di dar loro il buon esempio in ogni circostanza”.

 

SEGNALAZIONI CON LE COPERTE ED ALTRI MEZZI DI COMUNICAZIONE

(Parla Faccia che Ride:)

“Per noi, indiani della prateria, la coperta era il mezzo per comunicazioni a breve distanza e cioè in vista del villaggio col quale si voleva comunicare. Dopo il segnale di richiamo si sventolava la coperta, si arrotolava, si gettava per aria, si acchiappava come una palla, insomma si usava per tutti i segnali convenuti.

Se invece si doveva comunicare a distanza, allora si usava il fumo. Il segnale di fumo significava vittoria e se i guerrieri di ritorno da una battaglia non facevano segnali di fumo, allora voleva dire che la battaglia l’avevano perduta.

Noi lakota comunicavamo anche con la danza. Riuscivamo ad imitare tutti gli animali e a rappresentare tutte le imprese – di guerra e di caccia – che volevamo. Con la danza mantenevamo vive le nostre tradizioni ed esprimevamo tutti i nostri sentimenti.

Comunicavamo anche con il “linguaggio a segni”, gesti delle mani che hanno molto incuriosito i bianchi. Era come una scrittura ideografica molto poetica; per esempio, per dire “primavera” il sioux poneva la mano destra sul terreno col dorso all’ingiù, il pollice e le altre dita rivolte verso l’alto.  Poi la mano si alzava più volte per indicare l’erba che cresce.

Per dire “falsità” si faceva il segno che indicava “parlare”, seguito dal segno che indicava “molti modi”.

 

L’ANNUNCIO DELLE API

(Parla Vento nei Capelli)

“Noi, figli della natura, stavamo stesi sulla riva di un fiume e uno degli anziani disse: “hun haw”, che significa “rammarico”. Poi l’anziano additò un insetto che ronzava attorno a un fiore e disse: “Quella cosa che vola è stata portata dall’uomo bianco, perciò egli è vicino e fra poco verrà a invaderci”.

Quell’insetto era l’ape, è sempre affaccendato e cresce rapidamente di numero, proprio come l’uomo bianco”.

 

COME I PRIMI UOMINI BIANCHI ARRIVARONO DAGLI CHEYENNE

(Parla Aquila Rossa:)

“Una mattina, al risveglio nel nostro tipi, trovammo uno strano essere steso sulle nostre pelli. La mia squaw stava per mettersi ad urlare ma io le dissi di tacere; se qualcuno della tribù avesse scoperto quella faccia pallida, forse lo avrebbe ucciso per la paura che portasse disgrazia al nostro popolo. Era ridotto male, era quasi in fin di vita, ma noi lo curammo di nascosto e dopo qualche giorno egli ci raccontò che tutti i suoi compagni erano annegati nel fiume, quando la canoa si era rovesciata, e solo lui si era salvato. Si trovavano nel nostro territorio per mettere trappole per i castori perché, ci disse, la sua gente amava le pellicce di questo animale.

Restò presso di noi finché non si rimise in forze, e così vide come vivevamo e disse che la sua gente aveva utensili meravigliosi: coltelli di metallo, aghi per cucire che non si spuntano, un’arma che si carica con una polvere nera, acciarini per accendere il fuoco e tante altre cose. Disse che avremmo potuto fare scambi, noi accettammo e tutta la tribù, che ormai sapeva della sua presenza, raccolse pelli di castoro e gliele dette. La Faccia Pallida partì  e passarono molte lune prima che tornasse, ma tornò e ci portò tante cose belle e utili. Fu così che i primi uomini bianchi arrivarono da noi cheyenne”.

(Piccolo falco:)

“E poi?”

(Aquila Rossa:)

“E poi… pazienza, Piccolo Falco. Certe storie sono dolorose da ricordare… ora fammi fumare in santa pace il calumet…”

(Piccolo Falco:)

“Grande capo Aquila Rossa, perché guardi lontano, nel buio, come se vedessi cose che io non vedo?”

(Aquila Rossa:)

“Piccolo Falco… ci sono cose che al buio si vedono meglio che alla luce del giorno, solo che a volte fanno tanto male…pazienta e saprai. Ma ora fammi fumare in pace il

mio calumet”.

 

Maria Lanciotti

 


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