Diario di bordo
David Usborne. Argentina. Il lavoro del diavolo
14 Ottobre 2007
 

Fuori dal tribunale di La Plata, a cinquanta miglia da Buenos Aires, martedì, la folla attendeva accadesse ciò che era sicura sarebbe accaduto. Infine, è filtrata la notizia che un verdetto era stato emesso, e che era quello giusto. La gente ha preso a battere i tamburi, le donne sventolavano in aria fazzoletti bianchi, fuochi d’artificio sono stati accesi ed è stata data alle fiamme un’effige di cartone e stoffa. È stata un’incredibile esplosione di emotività, che si è replicata nei caffè e nelle case di tutto il paese, al termine di un processo trasmesso anche in tv e che è durato tre mesi, tenendo agganciata l’intera popolazione. Ma se c’è stata gioia, ieri in Argentina, e persino sollievo, i suoi sentimenti restano di gran lunga più complicati. Questo verdetto è stato un momento di pulizia e di risoluzione. Ma è stato anche il ricordo di un dolore profondo, incomprensibile.

L’effige date alle fiamme raffigurava l’imputato, con il colletto tipico dei sacerdoti della chiesa cattolica. Il reverendo Christian von Wernich (foto), 69enne, ex cappellano di polizia, è stato condannato all’ergastolo per aver collaborato con la polizia di Buenos Aires durante i bui giorni della “sporca guerra”, tra il 1976 ed il 1983, quando i militari governavano il paese con una dittatura crudele e spietata. Von Wernich, che indossava una veste antiproiettile, si è paragonato a Gesù Cristo durante la sua testimonianza resa davanti ad una giuria composta da tre magistrati, i quali lo hanno giudicato colpevole di coinvolgimento in sette omicidi, trentun casi di tortura e quarantadue rapimenti. Il sacerdote ha partecipato, hanno detto i giudici, a crimini classificabili come “genocidio”: Von Wernich ha risposto alla corte che lui stava facendo il “lavoro di dio”.

Sin dal ritorno della democrazia nel 1983, venire a patti con gli orrori della dittatura è stata una lotta condivisa, in Argentina, così come lo è stato il processo di scoperta di ciò che era esattamente successo. Un esplicito e sconvolgente rapporto rilasciato nel 1984 dalla Commissione Nazionale sulle Persone Scomparse, chiamato Nunca Mas (Mai più), attestò che 9.000 individui erano morti o “scomparsi” perché percepiti dalla giunta militare come comunisti o simpatizzanti della sinistra, e perciò “sovversivi” e nemici dello stato.

Il documento, che è stato ripubblicato di recente, si apre con queste parole: «A molti degli eventi descritti in questo rapporto è difficile credere, perché gli uomini e le donne della nostra nazione hanno sentito parlare di tali orrori solo da articoli che provenivano da luoghi distanti». I gruppi per i diritti umani stimano la cifra finale vicina alle 30.000 persone. Le vittime venivano rapite di notte dalle loro case, incappucciate e portate in celle dalla polizia, per essere interrogate e spesso torturate. Usualmente, i loro cari non le rivedevano più e, in quello che è diventato uno dei simboli più infami dell’orrore, molte di esse venivano caricate su aerei, drogate, e lasciate cadere nelle acque del fiume Plata o dell’Atlantico.

Le donne che sventolavano i loro fazzoletti erano in maggioranza Madri di Plaza de Mayo, le donne che hanno protestato chiedendo giustizia davanti al palazzo presidenziale di Buenos Aires ogni settimana. Il loro movimento generò una campagna similare, quella delle Nonne di Plaza de Mayo, che si concentrò sui bambini di coloro che erano spariti. Le madri degli infanti venivano infatti uccise, e i loro figli dati in adozione ad ufficiali dell’esercito. Sino ad ora, le Nonne hanno ritrovato 80 di questi bambini, ed il loro lavoro continua.

Sebbene alcuni processi siano stati iniziati subito dopo la restaurazione della democrazia, nei primi anni ’80, in seguito vennero lasciati perdere, perché i susseguenti governi civili, inclusi quelli di Carlos Menem e Raul Alfonsin, perdonarono gli ufficiali e chiesero al paese di muoversi semplicemente in avanti. Chiaramente, il paese lo sta facendo, ma non va verso l’amnesia collettiva. Il governo di sinistra di Nestor Kirchner, eletto quattro anni fa, ha deciso rapidamente di seguire le Madri e gli altri gruppi per i diritti umani. Una precedente amnistia è stata revocata perché anticostituzionale. Uno degli uomini che ha perso la sua protezione è proprio Von Wernich, che perciò era fuggito dall’Argentina e si era rifugiato in una città costiera cilena. Un gruppo di attivisti e giornalisti lo scoprì, e l’uomo venne estradato in Argentina.

Von Wernich, un uomo dai capelli bianchi che non ha mostrato alcun pentimento durante tutto il processo, è il primo sacerdote ad essere riconosciuto colpevole di crimini relativi alla “sporca guerra”. Non si trattava solo del processo a lui, in effetti. Per molti in Argentina, e invero nell’America Latina, era la chiesa cattolica ad essere in tribunale a La Plata. Il fallimento della chiesa in Argentina, o almeno di alcuni suoi membri, nel proteggere gli innocenti contrasta nettamente con i ruoli che essa ha giocato sotto le dittature in Brasile ed in Cile. In questi paesi, i sacerdoti hanno resistito e condannato. In Argentina, collaboravano.

La repulsione mostrata da molti nel paese verso Von Wernich non è difficile da capire. Il ritratto che è emerso dai resoconti dei testimoni dell’accusa, resi spesso in lacrime, lo dipinge come un uomo che ha usato la sua posizione per tradire coloro che si fidavano di lui. Il sacerdote è stato riconosciuto colpevole non solo di essere stato presente alle sessioni di tortura, ma anche, il che è persino più scioccante, di aver estorto confessioni dai detenuti, talvolta in presenza di ufficiali di polizia, e di aver passato le informazioni (inclusi i nomi di compagni dei prigionieri) agli inquisitori. Quelle che dovevano essere conversazioni private con dio sono divenute spionaggio, ed usate per ottenere più arresti, più torture, più omicidi.

Gli avvocati di Von Wernich sembrano aver trattato il processo come se si trattasse di una farsa; non hanno prodotto alcun testimone a discarico ed hanno a stento fatto domande a quelli dell’accusa. Quando la sentenza è stata letta, Von Wernich è rimasto privo di espressione, prendendo alcuni appunti e parlando brevemente con i suoi difensori. Quando è stato condotto al furgone che lo avrebbe trasportato in prigione, la folla ha di nuovo mostrato tutto il suo entusiasmo. Le reazioni della società argentina sono state rapide, inclusa quella delle Madri: «Giustizia è stata fatta», ha dichiarato Tati Almeyda. «La chiesa cattolica era complice».

Le conseguenze del verdetto promettono di avere ulteriori sviluppi. Lo svelamento dei crimini del regime precedente resta un fenomeno complesso, con lo scontro tra i gruppi per i diritti umani e le Madri e le famiglie di coloro che erano nell’esercito al tempo della giunta, e che sostengono di essere ingiustamente perseguitati poiché hanno solo obbedito agli ordini. Per quanto concerne la chiesa, la sentenza ha spezzato un tabù, e sicuramente darà luogo ad un nuovo periodo di autoanalisi. «Il caso di Von Wernich è senza precedenti e potrebbe avere ramificazioni nel continente», dice José Miguel Vivanco, direttore della Divisione delle Americhe di Human Rights Watch. «Non ho memoria di un altro singolo caso di un prete o di un religioso condannato in America Latina per partecipazione criminale a violazioni di diritti umani».

Tra i testimoni al processo c’era Padre Ruben Capitano, che fu compagno di seminario di Von Wernich negli anni ’70. Durante la sua testimonianza, ha pregato la chiesa di affrontare il proprio passato: «Lo dico con dolore. Sino a che la chiesa non riconoscerà i propri errori, sarà una chiesa in cui non si può avere fede». Un secondo testimone, Adolpho Perez Esquival, premio Nobel per aver fondato Paz y Justicia, ha ricordato davanti alla corte come ai tempi della repressione avesse inutilmente implorato la chiesa di intervenire.

Un’inchiesta interna alla chiesa potrebbe avvenire. Subito dopo il verdetto, nel frattempo, un breve comunicato è stato rilasciato dal cardinale Jorge Bergolio, vescovo di Buenos Aires: «Crediamo che i passi intrapresi dalla giustizia per chiarificare questi atti dovrebbe servire a lasciarsi alle spalle, assieme all’impunità, l’odio ed il rancore». Un’altra dichiarazione ufficiale della chiesa dice questo: «Se qualsiasi membro della chiesa (...) per raccomandazione o complicità, è stato coinvolto nella repressione violenta, lo ha fatto sotto la sua propria responsabilità, allontanandosi da dio e peccando gravemente contro di lui, contro l’umanità e contro la sua stessa coscienza».

Nel prologo dell’originale Nunca Mas, lo scrittore argentino Ernesto Sabato scrisse: «Solo la democrazia può salvare il popolo da orrori di tale portata. Solo con la democrazia saremo certi che Mai Più eventi come questi, che hanno reso l’Argentina tristemente famosa in tutto il mondo, verranno ripetuti nella nostra nazione». La ricerca dell’anima del paese non è ancora terminata, ma l’Argentina sta rispondendo al richiamo di Ernesto Sabato. La democrazia ha messo radici da più di vent’anni e il paese andrà alle elezioni presidenziali tra solo due settimane. La democrazia richiede un inflessibile impegno rispetto alla giustizia. Il processo di cui si parla è stato il processo ad un solo uomo, ma il messaggio è chiaro. Anche la giustizia ora si sta riassestando.

 

David Usborne

(per The Indipendent, 11/10/2007 - trad. Maria G. Di Rienzo)


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