Diario di bordo
Farmacisti e referendum. Bene gli obiettivi ma attenti alle false sirene
17 Settembre 2007
 

Notevole mobilitazioni di tre associazioni di farmacisti per impedire che il Senato rispedisca al mittente quel minimo di liberalizzazione che la Camera aveva approvato. La Federazione esercizi farmaceutici (Fef), l'Associazione nazionale parafarmacie italiane (Anpi) e il Movimento Nazionale Liberi farmacisti (Mnlf) fanno benissimo a difendere il voto della Camera che dovrebbe consentire la vendita dei farmaci di fascia C con ricetta anche fuori delle farmacie (anche se poi non potrà essere rimborsato dal Ssn), perché sicuramente è un passo importante per la totale liberalizzazione del settore. Così come fanno bene a chiedere l'abolizione della piana organica delle farmacie e del prezzo fisso dei farmaci. Da parte nostra li supportiamo con la proposta di legge che, presentata da 18 deputati con prima firma quella dell'on. Donatella Poretti (Rnp), è stata depositata col nostro supporto fin da maggio del 2006 e in cui chiediamo che non ci sia l'obbligo del farmacista per vendere i farmaci fuori delle farmacie; proposta supportata anche da una petizione.

Ma c'è un pericolo non indifferente dietro l'angolo nel momento in cui, per cercare di intimorire di più la controparte e imboccare una strada verso l'affermazione delle proprie proposte, si sbandiera l'arma del referendum abrogativo.

Non è bastata la lezione del referendum sulla legge sulla procreazione assistita, dove, nonostante una mobilitazione mediatica non indifferente, il quesito è stato rimandato a casa da un corpo elettorale che ha deciso di non decidere, cioè non partecipando al voto almeno con il 50% piu 1 rendendo invalida la consultazione? L'arma del referendum è spuntata non solo per il quorum, ma anche perché, solo a firme raccolte la Corte Costituzionale si esprime sulla legittima del quesito. E sia pensando bene che male di questa Corte, come già avviene in Svizzera e California, sarebbe meglio che il parere di legittimità costituzionale fosse espresso prima della raccolta delle firme. Tutto questo fa dello strumento referendum, così com'è ora la legge istitutiva, un non-strumento: oggi è in mano a chi è in grado di manovrare una certa quantità di elettori, un numero non molto alto vista la fiducia media degli italiani verso i partiti, ma sufficiente ad aggiungersi a quella gran parte di elettori che comunque a votare non ci va e, insieme, raggiungono una percentuale ben oltre quel 50% utile per la validità della consultazione.

Prima di utilizzare lo strumento referendum è bene essere consapevoli che si tratta di un fucile a molla. Per questo noi suggeriamo che le energie è meglio utilizzarle in modo diverso, anche se apparentemente meno immediato, cioè cercare di convincere i deputati, anche con l'aiuto di quelli che già sono sulle nostre posizioni, nonché con petizioni, mobilitazioni, manifestazioni, che quello che noi chiediamo è per il bene del Paese. Ci rendiamo conto che stiamo parlando di una “lotta di lunga durata” ma noi, per il momento, non conosciamo altri strumenti e minacciare di far male con un'arma spuntata come il referendum, oltre che velleitario è doloroso per gli stessi che l'agitano: raccogliere 500.000 firme non è una passeggiata.

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc


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