Oblò finlandese
...Questa è la bella vita, la bella vita dell'aviator... 
Intervista a Ulderico Munzi, autore di “Gli aquiloni non volano più. Storia del pilota che rubò un aereo al Duce” (Sperling & Kupfer, 2007)
La lapide di Diego Manzocchi nel
La lapide di Diego Manzocchi nel 'cimitero degli eroi' di Hietaniemi, Helsinki 
01 Giugno 2007
 

Il 9 Aprile 1940 il Prefetto di Sondrio scrive al Ministero dell’Interno per sapere se autorizzare o meno il rimpatrio (a spese della famiglia) della salma del Sergente Aviatore Diego Manzocchi, nato a Morbegno (So) il 26/12/1912 e deceduto a Helsinki. Il prefetto si interroga su questo problema, perché il Manzocchi era ormai noto, in provincia, come disertore ed antifascista. Da Roma arriva un lapidario “contrario”. Così si conclude la vicenda umana e giudiziaria di Manzocchi, un pilota morto a 27 anni, il 13 Gennaio 1940, mentre combatteva nell’esercito finlandese durante la Guerra d’Inverno (1939 - 1940).

 

Chi era Diego Manzocchi? Come era finito in Finlandia? Questi sono gli interrogativi cui Ulderico Munzi, scrittore e giornalista, si prende la briga di rispondere con il libro Gli aquiloni non volano più. Storia del pilota che rubò un aereo al Duce, uscito per la Sperling & Kupfer nel Marzo del 2007 con un’introduzione di Fosco Quilici.

Munzi ricostruisce tramite testimonianze dirette e una minuziosa lettura di documenti, la breve vita dell’aviatore: la giovinezza in Valtellina, il brevetto di pilota, il tempo trascorso in Libia e l’incarico di istruttore di volo presso l’aeroporto militare di Cameri (Novara). La presa di coscienza degli errori del colonialismo fascista e il contemporaneo invaghirsi di una parigina convincono il Manzocchi a disertare, rifugiandosi prima in Francia e successivamente dirigendosi, con il proprio FIAT G50 verso la Finlandia, dove, sacrificando se stesso, ma salvando il proprio aereo, diventerà un eroe.

Decorato della massima onorificenza finlandese, è sepolto ad Helsinki, nel cimitero degli eroi di Hietaniemi, una delle migliaia di lapidi, disposte attorno alla tomba del generale Mannerheim.

 

Munzi ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande sul libro.

Come è venuto a conoscenza della storia di Diego Manzocchi? Cosa l’ha affascinata della biografia del pilota?

Diego Manzocchi è entrato nella mia vita grazie a un articolo del senatore Manzella apparso su Repubblica più di due anni fa. Il senatore citava Diego Manzocchi come un uomo coraggioso che si poteva paragonare all’italiano Fabrizio Quattrocchi ucciso in Iraq dai terroristi. Volli saperne di più e cominciai a interessarmi al personaggio. A poco a poco scoprii che era un uomo di grande fascino, un uomo che amava amare: il cielo, il volo, le donne, l’avventura, tutto ciò che era bello. Aveva inoltre l’ingenuità di un Piccolo Principe, la creatura inventata dallo scrittore francese Saint-Exupéry che era anche un pilota.

– “Gli aquiloni non volano più” è una biografia che sembra uscita da un romanzo. Quanto di quello che avviene nel libro è frutto di fantasia e quanto di ricerca storica?

Mi piace far parlare la storia e la storia in questo modo si arricchisce, esce dagli schemi seriosi degli esperti. Nel mio libro tutto è vero o verosimile grazie alle testimonianze e ai documenti. Persino i dialoghi riecheggiano testimonianze e talora documenti di archivio.

Quanto ha impiegato a ricostruire la storia del Manzocchi? Su quali documenti si è basato principalmente? Quante persone ha intervistato direttamente o attraverso collaboratori?

Ho lavorato per due anni. E la risposta non può essere breve. Il libro è costato intere giornate di consultazione negli archivi italiani e francesi, al tribunale militare di Torino, al servizio storico dell’Aeronautica Militare di Roma. Ho registrato ore e ore di conversazione con diplomatici italiani, storici francesi dell’Alta Savoia, sottufficiali del servizio storico della Gendarmeria, vecchi piloti dei caccia Fiat G. 50 e di altri aerei dell’epoca, ex coloni italiani in Libia dove il sergente maggiore Manzocchi ebbe compiti di pilota della ricognizione aerea. Ore e ore di conversazione con parenti vicini e lontani di Diego Manzocchi, dalle cugine Giuliana e Teresita, a Giovanni Zecca, figlio di un’altra cugina, da Rosa Ambrosetti, a Diego Roncoroni, un lontano nipote, a Pietro Bottà, industriale e storico di Morbegno, che è riuscito a far mettere il nome di Diego al memoriale dei caduti. Ricordo l’impegno di Palminteri, un giovane e bravissimo diplomatico italiano a Helsinki, e di Villani, un brillante studioso, che mi hanno aiutato a rintracciare testi, elementi di archivio, ricordi e alcune testimonianze in Finlandia, debbo a loro persino un DVD finlandese in cui è mostrato l’aereo capovolto del Diego e in cui a un certo punto appare un compagno di armi che canta una canzone in italiano che gli insegnò il Manzocchi durante la Guerra d’Inverno.

Diego fuggì perché ostile al fascismo o perché innamorato di una giovane francese conosciuta a Novi Ligure? Entrambe le cose sono vere e si alternarono, nei giorni che precedettero la diserzione, nell’animo infocato del giovane aviatore italiano. Diego era un uomo dell’epoca, condizionato dal contesto storico, il suo animo bruciava. Però ho anche le prove, tratte da documenti, che Manzocchi “rubò” un aereo al Duce perché ostile alla mentalità fascista, come risulta dall’istruttoria del magistrato Merler, dai rapporti dei carabinieri di Sondrio, dai rapporti degli ufficiali dell’aeroporto di Cameri, dove Diego svolgeva il suo lavoro di istruttore, e dagli scritti del generale Francesco Pricolo, sottosegretario di stato per la Regia Aeronautica e infine dal protocollo numero 442/6950 del ministero dell’interno che espresse parere contrario al rimpatrio della salma perché il disertore era un antifascista. E ci sono poi le lettere dello stesso Diego a una delle sue amanti e alla matrigna che portano il timbro della questura di Sondrio. “Non ho tradito la patria, ma il fascismo”, scrive.

Il libro ha una costruzione quasi cinematografica, ad esempio nel cominciare dalla fine e nel continuo ritornare al pilota morente che ricorda i passaggi salienti della sua vita. Pensa che ne verrebbe fuori un buon film? A chi lo affiderebbe come regista?

Vedrei un film fatto da un regista finlandese più che italiano. Se dovessi scegliere un italiano, penserei a Pasquale Squitieri. Si facciano avanti.

Uno degli aspetti, che mi hanno più affascinato del libro, è la riuscita presentazione dei vari luoghi dove la storia si svolge, in particolare la sobrietà del paese nordico e dei suoi abitanti. É mai stato in Finlandia? Qual è la sua idea della Finlandia contemporanea e dei finlandesi?

Sono stato in Finlandia e amo la sua gente. Nell’animo di un finlandese echeggiano sempre le note di Sibelius. Io non credo nel realismo dei finlandesi, nel “fattore scandinavo”. Piuttosto, anche oggi, colgo nei finlandesi una sorta di “ardore meridionale”, mi viene da pensare al fuoco che divampa tra le mura razionali di un’acciaieria.

Verrà mai in Finlandia a presentare il libro?

Sarebbe un onore, anche per farmi correggere alcuni errori che, inevitabilmente, escono dalla penna di chi non fa lo storico di professione. Spero che gli italiani di Finlandia leggano il mio libro e mi scrivano. Che lo facciano per Diego…

Tutti coloro che conoscono la storia del Manzocchi si sono espressi per la “riabilitazione” del pilota disertore e per il riconoscimento del suo gesto eroico da parte delle istituzioni italiane. La conclusione del suo libro ripresenta questa necessità. Pensa che questo sarà possibile?

A Roma il libro è stato presentato nella Sala Baracca della Casa dell’Aviatore. Era presente il generale di brigata aerea Landi, un ottimo oratore. A me è parsa una cerimonia di riabilitazione, anche se lo stato maggiore, prima di dare all’editore Sperling e Kupfer il suo consenso, ha esitato perché il Manzocchi disertò. A Morbegno, in Valtellina, grazie a Giovanni Zecca e Pietro Bottà, c’è tutto un fervore per far dedicare una strada al Manzocchi. È stato commovente presentare il libro in quella città. Diego Manzocchi vi è come rinato e una signora mi ha detto che doveva essere naturale, per una ragazza, innamorarsi di lui.

Nella nota biografica del libro, afferma di vivere tra Roma, Parigi e Saint Mandrier. Il Manzocchi trascorre la sua breve vita tra paesi diversi, con una mobilità molto contemporanea. Quali sono i pregi ed i difetti di vivere tra paesi, di essere, in un certo senso, “disertori ed eroi”?

A me piace avere molte “radici”. Diego era un pilota. La sua vera patria era il cielo che lui considerava (testimonianza di una cugina) la porta dell’universo. Come ho detto alla Tv italiana, i giovani di oggi hanno le stesse scintille spirituali dei giovani di ieri. Cambia solo il palcoscenico storico.

Scorrendo i numerosi saggi di sua produzione, si nota un interesse nei confronti della storia italiana attorno alla seconda guerra mondiale. Cosa la attrae di quel periodo?

Era un periodo di grandi tragedie e di grandi uomini tragici. Se ci fosse stato un Sofocle…

Ma secondo lei, cosa ci vanno a fare tutti questi morbegnesi in Finlandia?

In Finlandia c’è, come le dicevo, tanta “meridionalità”, come se il ghiaccio, idealmente, nascondesse lava.

 

Giacomo Bottà

(per 'l Gazetin, giugno 2007, e La Rondine)


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