Un'esortazione ai giudici cattolici al «doveroso esercizio» di una «coraggiosa obiezione» nell'applicazione di quelle «norme giuridiche vigenti, sia quelle codificate sia quelle definite dai tribunali e dalle sentenze dei tribunali» che contrastano con i dettami della fede cattolica. Così la nota diffusa lo scorso 21 marzo dalla Pontificia accademia per la vita (Pav). Un appello alla disobbedienza civile, che nel caso dei giudici italiani costituirebbe reato (rifiuto d'atti d'ufficio, art. 328 codice penale): un'istigazione a delinquere, resa ancor più grave dal fatto che se i giudici, invece della legge dello Stato, seguissero la propria coscienza non vi sarebbe più certezza del diritto, e quindi neanche più giustizia e ordine.
Domani alla Camera, dalle 14:30, il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri risponderanno ad una interpellanza urgente che avevo presentato il 23 marzo scorso, sottoscritta anche dagli altri colleghi radicali Marco Beltrandi, Daniele Capezzone, Sergio D'Elia, Bruno Mellano, Maurizio Turco e dal capogruppo della Rosa nel Pugno Roberto Villetti: «Se, a fronte di quella che si palesa come una chiara ed evidente violazione del Concordato, il Governo italiano non ritenga di poter ravvisare in essa gli estremi per un sostanziale superamento del Concordato stesso in riaffermazione di una piena indipendenza e sovranità della Repubblica italiana».
Il Concordato al suo primo articolo recita: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti». E credo che esortare i giudici di un altro Paese a disapplicare le leggi a cui sono soggetti è tutt'altro che rispettoso dell'ordine, dell'indipendenza e della sovranità altrui!
Donatella Poretti