Oggi, nel sessantesimo anniversario dall'approvazione della Costituzione (art. 1, ndr), ha inizio la campagna per la modifica del suo primo articolo: non più «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», ma «La Repubblica democratica italiana è uno Stato di diritto fondato sulla libertà e sul rispetto della persona».
Insieme agli altri deputati Radicali della Rosa nel Pugno (Marco Beltrandi, Daniele Capezzone, Sergio D'Elia, Bruno Mellano e Maurizio Turco), ho depositato una proposta di modifica costituzionale, e su questa ci adopreremo per raggiungere il più ampio consenso, dentro e fuori il Parlamento.
La proposizione con cui solitamente si apre una costituzione ha un altissimo significato simbolico. È in essa che viene affermato un modello istituzionale ed è con essa che si esprimono i valori fondanti la base del vivere civile. Ma la Costituzione sarà efficace nell'affermare e proteggere i suoi valori fintanto che il “popolo” in essa identificato possa a sua volta identificare se stesso in quella dichiarazione d'apertura. Il primo articolo è quello che intere generazioni dovrebbero imparare a memoria, tramandare o citare ogniqualvolta vi sia una sua patente o potenziale violazione. Con esso si dovrebbe misurare ogni giorno l'operato dei governanti, la sua eco riverberare nelle opere letterarie, nella cinematografia, nelle aule di tribunale.
A sessant'anni da quel 22 marzo 1947, non vi è dubbio che l'articolo 1 della Costituzione ha fallito questa sua alta missione: non identifica il popolo, inteso quale totalità dei cittadini, né tutti i cittadini possono in esso identificarsi. Chi non lavora –studenti, disoccupati, pensionati, etc.– è senza una Costituzione di riferimento. Al massimo viene riconosciuta una forma di governo («Repubblica democratica») basata su un'attività («lavoro»), come già i primi articoli delle “repubbliche democratiche” di Cina, Vietnam, Corea del Nord, Cuba.
L'elemento fondante che invece distingue la nostra democrazia è il grado di libertà, garantito a coloro che nel medesimo sistema democratico risultano “perdenti”: le minoranze, il cui comun denominatore è la persona, l'individuo. La libertà di stampa, di espressione, di religione, di voto, di circolazione, la libertà terapeutica, il pluralismo politico, la libertà di non essere discriminati in base a sesso, razza o preferenze sessuali, la libertà di riunirsi pacificamente, l'inviolabilità del domicilio, il diritto alla riservatezza, la libertà economica e quella di perseguire la propria felicità e realizzazione: difficilmente il cittadino privato di questi diritti potrà partecipare ed aspirare a governare la cosa pubblica al pari degli altri. Per difendere e proteggere queste libertà è indispensabile la supremazia della legge. Senza certezza del diritto, senza lo Stato di diritto, perdono valore anche i più alti e nobili principi enunciati nella Costituzione, in quanto difficilmente se ne potrebbe esigere ed ottenere il rispetto e l'applicazione. Il cittadino, posto dinnanzi all'incertezza del diritto, alla rassegnata accettazione di una diffusa illegalità, si allontana dalle istituzioni e perde fiducia nella legge, percependola come astratta, relativa e soprattutto non vincolante. Egli cessa, quindi, di riconoscersi quale membro della comunità. La nostra proposta di modifica costituzionale intende evitare che perduri l'allontanamento del cittadino dalle istituzioni, invertendo questa rotta.
Donatella Poretti
Qui il testo completo della relazione e della proposta