Una ricerca dell'Università di tecnologia del Queensland a Brisbane in Australia, ha comparato la salute mentale e fisica di circa 250 prostitute di età fra 18 e 57 anni, che lavorano in bordelli legali, in casa o per strada. I risultati dicono quello che molti sostengono da tempo: l'unica via per combattere il fenomeno è la legalizzazione. Secondo la ricerca australiana infatti le donne che lavorano legalmente -e quindi in casa o nei bordelli- sono più tutelate e soddisfatte di quelle che lavorano per strada, la cui metà dichiara di aver subito stupri o percosse.
In Italia l'ideologia del divieto e della repressione porta esclusivamente a soluzioni come la lotta allo sfruttamento, l'arresto per i clienti, l'installazione di telecamere, e così via. Insomma, una lotta prevalentemente militare. Basterebbe aprire gli occhi e vedere cosa succede a qualunque ora del giorno e della notte nelle strade delle nostre città, e ci si renderebbe conto dell'inadeguatezza di queste non soluzioni.
Da combattere è lo sfruttamento della prostituzione e l'assenza di diritti e tutele per quelle persone che scelgono questo mestiere, alla pari dello sfruttamento dei lavoratori clandestini e del lavoro nero.
L'esempio è quello di alcuni Stati europei, in particolare i Paesi Bassi, in cui, anche su pressione delle stesse organizzazioni dei cosiddetti sex workers (“lavoratori del sesso”), si è deciso di procedere alla legalizzazione della prostituzione e alla trasformazione di questa attivitò in una normale professione, sotto forma di lavoro dipendente, indipendente o cooperativo, con i diritti e doveri che conseguono, di assicurazione previdenziale e di tassazione. Questa misura ha permesso di separare la prostituzione volontaria da quella coatta: la prima è “emersa” e ha trovato forme legali di svolgimento, minimizzando i costi che ricadono sulla società e sulle persone che svolgono l'attività. L'apparato repressivo si è potuto così concentrare in modo più efficace ed efficiente sulla lotta alla prostituzione coatta ed allo sfruttamento, compreso quello dei minori, delle persone minorate o tossicodipendenti che vengono costrette a prostituirsi.
Anche se a prostituirsi non sono solo le donne, i clienti però sono quasi esclusivamente uomini, e visto che gli uomini non sembrano intenzionati a legalizzare queste loro scelte sessuali, la “Festa della Donna” del prossimo otto marzo potrebbe essere una buona occasione per fare passi concreti e non solo continuare a parlarsi addosso: non può essere definito altrimenti il confronto che va avanti da quando sono stati più che evidenti gli effetti negativi della legge Merlin che aveva chiuso le case di tolleranza; quando un confronto continua ad essere solo tale e non si trasforma in norme e diritti, è per l'appunto solo parlarsi addosso.
Occorre giungere ad una proposta di legge che, al di là degli schieramenti, tolga definitivamente questo mercimonio dalle mani della piccola e grande malavita.
Donatella Poretti