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In libreria/ Rita Bompadre. “Avere la pazienza del pane” di Benedetta Sanna
06 Gennaio 2025
 

Avere la pazienza del pane di Benedetta Sanna discioglie l’origine del fermento esistenziale mescolando gli ingredienti con un espediente indispensabile per far maturare l’amalgama emotivo attraverso la fragranza dei versi e il profumo della memoria. Benedetta Sanna concede il suo tempo interiore nella preparazione di una riflessione umana, lungo il tracciato delle parole, la qualità panteistica delle immagini, immersa tra isola e città, nella reazione alle avversità e alle difficoltà della vita. Se il pane elabora la pazienza, la poetessa raggira l’antico e proverbiale modo di dire per alimentare l’atteggiamento alla comprensione, la disposizione alla fiducia nella natura e nel suo stupore e alla volontà di percorrere l’ evoluzione personale, nella stabilità di tracciare su carta la destinazione della propria anima.

I versi delineano le reazioni istintive, provocate dalle aspettative sensibili, fondono l’irrequietezza nelle schegge di lucida immediatezza, scuotono l’affanno della coscienza, persistono nella loro urgenza di espressione, nell’esigenza di trovare un’entità autentica, capace di rivelare l’intensità dell’intonazione elegiaca. La poetessa vive la ragione poetica, coniuga l’esperienza della dimensione estetica di ogni visione del reale nella quotidianità con la pratica di una scrittura meditata nell’attenzione intenzionale alle sensazioni, inaugura la stagione di una fusione spirituale, condensa l’indagine negli affetti e salda la qualità dei componimenti appesi nella sospensione dei ricordi.

Benedetta Sanna suggerisce, con l’impeto suggestivo delle sue poesie, l’indicazione interpretativa dell’attesa, come indugio silenzioso e minuzioso nei rapporti relazionali, assiste l’asprezza e la severità degli eventi, evidenzia la dolcezza della speranza e la consistenza dell’assenza. Accoglie nel suo cuore l’avidità insaziabile di trasmettere amore, oltre la rabbia e il dolore, aggira la voragine inaccessibile dello sconforto e l’intuizione indefinibile della malinconia con il significato profondo di una schiettezza urlata e decantata nella vicinanza delle superfici animose e solitarie dei pensieri, oltre l’indolenza del distacco e l’accerchiamento della solitudine.

Avere la pazienza del pane ricorda di cogliere l’opportunità di sorvegliare, capire e seguire l’estensione della consapevolezza, proietta il valore del presente nella benignità del tempo che sa sempre restituire gli intrecci della vita scandendoli oltre il frammento dei turbamenti. Benedetta Sanna confessa la fragilità dei rimpianti e la ruvidezza delle separazioni, esprime l’energia coraggiosa della parola, da senso alla voce sfumata e disillusa della nostalgia, pone la quiete all’inquietudine. Manifesta l’intenzione di dare forma e corpo al grumo indistinto e indecifrabile dei sentimenti, confida nella previsione temporale delle esperienze, fa riemergere la riflessione antica e generativa degli intervalli. Dedica alla risorsa preziosa dell’indulgenza la ripartizione della tensione impaziente, interroga l’anima e ne ascolta il principio vitale, identifica l’eco del rimpianto, le occasioni inesorabili di impastare le fascinazioni e i disinganni del proprio cammino.

Benedetta Sanna ci insegna a saper prevedere, ad attendere il tempo necessario affinché le prospettive umane migliorino, a nutrire le trasformazioni e ricevere compiutamente le conseguenze della saggezza popolare: “A chi sa attendere, il tempo apre ogni porta”.

 

 

Testi scelti tratti da

Avere la pazienza del pane

 


Al mare basterebbe

sapere che torniamo,

che il viaggio non è breve

ma l'orizzonte lo vediamo:

i contorni del suo volto,

l'isola e il suo solco,

uno sbadiglio nel Mediterraneo.

 

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Se la notte porta il sogno

e nel sogno c'è un consiglio

di saper essere anche io notte,

quando voglio:

una penna che non dubita del foglio.

E io che resto serva del tuo giorno

so bene che ti vedo

solamente alla sua fine,

dove il nero è tutt'uno con la stanza.

 

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Sapessi come te dimenticarmi

dell'affanno dei miei anni,

che invece io pronta ricordo

ogni volta

che scordo l'origine dei venti

e cosa scosse il maestrale

nelle radici,

in quegli occhi tuoi sempre spenti

e le tue spalle come colline,

alle mie pendici.

 

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Solamente scrivendo

posso togliere la rabbia.

Evitare di sputare la tovaglia,

aggredire i tuoi costumi ed usi,

così sporchi e truci

di giostre secolari,

violenze e torti.

Di netto poi trafiggo

dal polso fino al torace

lo spettro sudicio e ingombrante

dell'elefante in una stanza.

 

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Distinguere parole

come rose dalle spine,

tra le mani tue supine

in grado di abbracciare

ogni mio indizio alieno.

Su quella spiaggia bianca e dolce,

dove ancora

dormo e tremo.

 

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Sono arrivate molte cose

negli anni

a salvarmi.

Prima dalla provincia,

poi da ogni mia piccola stanza.

Quasi come un passaggio

di mano in mano

di una chiave

o di un segreto,

e quella devozione.

L'occhio aperto

sulla terra stanca.

Il tuo antico rituale.

 

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Gomitolo di niente,

briciola

scarto

e restanza.

Pregarti voglio oggi

per avere un segno,

da un cielo

il cui colore appena distinguo.

Dal tetto del palazzo,

da un urlo sotto casa.

La notte non ha suono.

 

Rita Bompadre

Centro di Lettura “Arturo Piatti”


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