Lo scaffale di Tellus
Annagloria Del Piano. “J’accuse – Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo” 
La filosofa Roberta De Monticelli alla presentazione del libro di Francesca Albanese
21 Giugno 2024
 

Alla terza edizione della Fiera dei libri e della lettura di Tirano (SO) dal titolo evocativo “Seminare Parole”, un pubblico partecipe ha potuto seguire nella serata di sabato 15 giugno la presentazione del libro J’accuse della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati Francesca Albanese.

Presente l’autrice della postfazione, la filosofa Roberta De Monticelli, esperta di linguaggio e filosofia della Persona e dell’Etica e attualmente insegnante presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.

L’organizzazione è quella di Assopace Palestina Sondrio, sezione valtellinese della nota associazione di volontariato apartitica che, ispirandosi ai principi della nostra Costituzione, si occupa di promozione della cultura della legalità e della pace tra i popoli, della difesa dei loro diritti, al di là di qualsiasi appartenenza etnica, politica, sessuale, socio-culturale.

«Questo libro è uscito nel novembre dello scorso anno, un mese prima della denuncia che il Sudafrica ha presentato contro Israele per genocidio», -precisa De Monticelli. «Come dichiarato fin da subito, dal titolo, si tratta di un atto di accusa, che riecheggia il ben noto j’accuse di Èmile Zola, in merito al caso Dreyfus. Ma contro chi va questo monito di Francesca Albanese?».

La nota giornalista israeliana di Haaretz, Amira Hass, il 13 giugno ha scritto con determinazione e durezza un’ammissione di responsabilità che il suo Paese deve, a suo parere, riconoscere: «Israele può dirsi sconfitto», scrive. «Sconfitto strutturalmente, non perché abbia vinto Hamas, ma perché la storia ci ricorderà per aver ucciso, bombardando edifici pieni di bambini, donne e anziani. Per aver portato alla fame e alla sete due milioni e trecentomila persone concentrate in aree sicure prima di bombardarle. Per aver reso disabili cinquantamila bambini, tra montagne di rifiuti, liquami ed escrementi». E per altri diversi motivi, da lei attentamente elencati.

«Quindi, il J’accuse di Albanese si rivolge a tutti noi», riprende De Monticelli, «tutti noi uomini e donne della comunità internazionale, ma anche tutti noi europei, tutti noi italiani, tutti noi cittadini di questa o quella città. Ossia chiunque resti immobile o giri il volto, di fronte a quanto sta accadendo al popolo di Gaza, al popolo dei Territori occupati».

Il libro di Francesca Albanese è concepito come un glossario, propone ai suoi lettori una modalità per parlare con correttezza della questione palestinese, per uscire da una comunicazione quale quella a cui ci hanno abituato i mass media (non tutti, ma quasi) fin dall’inizio, dal 7 ottobre; un modo dunque per evitare enormità e assurdità non vere, ampiamente diffuse. A cominciare dalla parola genocidio, su cui tanti si sono spesi, molti senza cognizione di causa, una categoria che è stata introdotta da Raphael Lemkin dopo il processo di Norimberga.

«Il processo intentato a Israele dal Sudafrica, con tale accusa, è in sostanza il processo che l’umanità fa a se stessa», continua la filosofa, «è il guardare ai vincoli che il mondo deve darsi, per autoregolarsi. È il riconoscere che Etica, Logica e Diritto istituiscono norme precise e non interpretabili soggettivamente per usare parole definite, non opzionabili nel loro significato, con rigorosissime condizioni di utilizzo. Questi sono dei vincoli, che unici possono aiutare a evitare l’arbitrio di potere e sopraffazione. È quanto ci dice Albanese nel suo libro, trovandomi completamente d’accordo».

Quel che sembra così difficile ad oggi, nella comunicazione circa l’orrenda strage compiuta da Hamas il 7 ottobre seguita dall’assoluta sproporzione rappresentata dalla risposta di Israele col massacro a Gaza, è l’utilizzo di parole e concetti che restituiscano verità e ragionevolezza, anziché polarizzazione politica e silenziamento del pensiero contrario.

«Il J’accuse di Francesca Albanese», rimarca De Monticelli, «si erge contro la rimozione primaria del non voler vedere il vero. È monito contro l’ignoranza, non solo quella involontaria - di chi non conosce - ma anche quella di chi ignora volontariamente, cioè resta indifferente: il problema, lo ignora, girandosi dall’altra».

Chiediamo alla filosofa e alla studiosa qualche esempio di questa alterazione del significato delle parole, che rende la comunicazione e l’informazione avvelenate.

«Un esempio lampante è dato dall’accusa di antisemitismo che, dal 7 ottobre, viene continuamente rivolta a chiunque critichi Israele e il suo governo, cercando di silenziare ogni dissenso. L’Alleanza internazionale per il ricordo dell’Olocausto, IHRA organizzazione intergovernativa fondata nel 1998, include nell’atteggiamento antisemita ogni critica del sionismo politico di Israele, dei suoi governi, la critica a che lo Stato di Israele si definisca - come da legge del 2008 - Stato-Nazione degli Ebrei, intendendo quindi deliberatamente escludere la popolazione non ebrea e definendosi così Stato non di tutti i suoi cittadini, col corollario di nuove leggi discriminatorie e liberticide e dei divieti più assurdi… Vedete bene che, con queste premesse, si può accusare chiunque con gran facilità di essere antisemita».

«Un altro esempio», aggiunge, «è dato dal termine costantemente usato per descrivere il genocidio che sta avvenendo sotto gli occhi di tutti: guerra. No, non si tratta di una guerra. Qui non si hanno due Stati in lotta, ciascuno col proprio esercito e le proprie armi. Ma di una possente macchina da guerra contro delle milizie. Di una reazione fuori misura, totalmente distruttiva, un massacro. Si evita altresì di specificare che Gaza è nei Territori occupati dall’esercito israeliano».

A conclusione della presentazione dell’opera della Relatrice speciale Albanese, la filosofa De Monticelli ricorda che tutti noi abbiamo detto mai più la Shoah, mai più genocidi, e da ogni parte si è perseguita la politica della Memoria. Ma una memoria politicizzata, particolarizzata, non porta alcun frutto. Se non si educa all’empatia, perseguendo piuttosto l’identificazione totale - come avviene per la gioventù israeliana, e ne scrive con dovizia di studiosa la filologa e attivista israeliana Nuri Peled in molti suoi testi - allora si giungerà alla conclusione davvero pericolosa del mai più a noi, anziché del mai più a nessuno. E l’umanità, così, viene irrimediabilmente sfigurata.

 

Annagloria Del Piano


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