Io e me stesso/ sopra un limbo/ guardavo un pozzo non profondo/ le rane le carpe/ che veneravo molto/ ricordavo gli abbracci di un passato energico/ sembrava un tramonto con i suoi tinteggi/ mi manca ogni volta/ è così apatica l’esistenza quaggiù/ il mio sentire come fosse/ un vento in questo giardino vuoto/ di colore e le strade sempre bianche (L.D.C.)
Non si può evitare di sognare. Ne va della vita stessa. Forse non si possono ricordare i momenti dell’universo onirico notturno. Ma i sogni ci lavorano dentro, così come sogniamo a occhi aperti. I sogni sono, infatti, anche desideri da realizzare. Somnĭo ergo sum, verrebbe da parafrasare il caro vecchio René Descartes. Si sogna anche in carcere, luogo duro per definizione. Lì si sogna, con l’espiazione e la conseguente riabilitazione (art. 27 della Costituzione), il riscatto dalla colpa o da quella sorta di ricatto e criticità esistenziale che ha condotto al reato e alla privazione di uno dei più preziosi beni elargiti dalla sorte: la libertà. Né si può togliere a un essere umano il sogno e, con esso, la speranza.
Non è un caso dunque che per il consueto Calendario poetico, ogni anno partorito dal Laboratorio di lettura e scrittura creativa attivo nella Casa di reclusione di Milano-Opera, si sia scelto il tema Sogni (sottotitolo: Cerco di leggere il mio futuro tra carcasse di sogni).
Dalla prefazione della psichiatra, scrittrice e criminologa Erica Francesca Poli: “La poesia riesce dove né la filosofia né la scienza riescono: giunge a sfiorare il sentire dell’essenza vitale che permane nell’impermanente o, per meglio dire, piega l’impermanente del poeta che la scrive, ad esser via, mezzo, porta per una rivelazione improvvisa di eterno, che balena in un lampo, si spoglia d’improvviso e poi si vela di nuovo delle stesse parole in versi che hanno tentato di dirlo”.
Per ogni mese una immagine fotografica – dono di Margherita Lazzati, che con pazienza, sensibilità e innato senso estetico ogni anno correda il Calendario dei suoi scatti – e una o più poesie delle persone detenute. Liriche avvolgenti, coinvolgenti, profonde, di bella e curatissima forma, fra dolore e aspettative ancora da coltivare, fra ansia e quella speranza, mai doma, che anche nelle celle e dietro le sbarre, in un ambiente di mura, ferro e, sovente, separazione affettiva, vive tuttavia nello spirito colmando i giorni e squadernandone le possibilità di bellezza. Perché anche da un carcere possono scaturire bellezza e cultura.
Passi./ Strascichi di membra atrofizzate/ si aggirano. Stanchi e apatici i loro volti/ in questi freddi corridoi/ pregni di indefinibili miasmi./ Passi/ di gente assorta nelle mille e mille illusioni/ che la vita le ha riservato./ Passi che a volte qualcuno conta,/ scandite linee del consunto tassello del mattone. (U.C.)
E ancora...
La strada accompagnava i nostri passi/ gli alberi cercavano le stelle/ le foglie cadevano piano/ toccavano le nostre anime/ il vento soffiava lento/ l’alba è arrivata stanca// Ora chiudo gli occhi/ e resto qui (V.S.)
In Italia esiste il Fine pena: mai oppure, se volete scriverlo diversamente, Fine pena: 31/12/9999. Forse, al di là di ogni considerazione ideale o ideologica, varrebbe la pena di convertire quell’angosciante espressione, oltre le opinioni personali, in Fine speranza: mai.
Chiudiamo con una splendida poesia (versi fortemente empatici), tratta dal Calendario, di F.P. (una composizione dagli echi hemingwayani e alla John Donne, quello per il quale, per intenderci, nessun uomo è un’isola):
Lacrime del sole che tutti vedono…/ Suona il campanello per noi fratelli,/ ma non lo sentiamo./ Scalini di un cammino verso il futuro/ affiorano dall’acqua della speranza;/ nel delirio di fuochi dell’umana miseria/ cadono come grandine dalle stelle/ riverberi infuocati del nemico./ Nulla conta più nella stirpe dei rapaci./ Questo è l’infausto destino./ Un ricordo soltanto la pace,/ chiodo mai piantato,/ ma l’urlo del dolore,/ questo sì…/ Troppe croci,/ cuori ridotti a brandelli/ densi di sangue dei nostri fratelli…/ Non migrano più le urla dei morti,/ eccole lì, prossime ai vivi.
Il Calendario poetico del Laboratorio di lettura e scrittura creativa di Opera è una vera e propria pubblicazione (casa editrice La Vita Felice). E, soprattutto, un’occasione per scoprire un mondo nascosto alla vista e pure tanto foriero e capace di sentimenti positivi. Sorprendente e toccante.
Alberto Figliolia