Una società clientelare è una società “chiusa”. Bisognerebbe riscrivere gli articoli della Costituzione (artt. 1 e 3), secondo questo schema: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, ripudia e combatte ogni forma di clientela e di clientelismo. La democrazia deve essere sostanziale e non formale”. Una società fondata sulla cultura del “merito” è una società “aperta”. Una società meritocratica è una società aperta. Il merito è strumento di crescita morale ed economica della società civile e dello Stato. Una società aperta si fonda contestualmente sul convergente principio di moralità. Lo stesso voto popolare finisce per diventare mero esercizio di democrazia formale o cd. di “superficie”: se le candidature sono espressione ed esercizio di occupazione del potere, la libertà di espressione del voto è compromessa alla radice. Violenta è quella democrazia “bloccata” che impone per legge e dall’alto i candidati (sempre gli stessi candidati). Anche gli slogan ripetuti e la stucchevole propaganda elettorale non fanno applicazione del “principio di non violenza” (ridateci le “Ideologie”). In Poesia, al concetto di libertà è consanguineo il sentimento di non violenza (Giannino di Lieto).
Quegli intellettuali snob che si agitano senza particolari ragioni in tv e praticano l’aggressione verbale e compiaciuta all’interlocutore; che tutto sanno e tutto dicono, con le loro verità sulla vita e sull’esistenza, opprimono il telespettatore, che alla “violenza” reagisce con un atto di “libertà”, cambiando canale televisivo. L’arroganza di chi si avvolge compiaciuto e narciso nelle proprie certezze, nella verità apodittica e nella propria “sapienza”, è da sempre una forma di violenza che tende a provocare nell’interlocutore una reazione. Devo dire che anche Pannella e i Radicali, quando negli anni 70’ si imbavagliavano in tv alle Tribune Politiche, restando muti per tutto il tempo della trasmissione, professavano la “non violenza”, ma in sostanza ne facevano applicazione al contrario, costringendo il telespettatore a cambiare canale. Non credo che inducessero ad un pensiero proficuo e positivo. Anche lo sciopero della fame e della sete sono forme violente di esercizio di pseudo-libertà, non tendendo a convincere, ma ad imporre il proprio pensiero e la propria opinione attraverso il “ricatto” dei propri comportamenti. Il recente episodio del promesso sposo che in una occasione pubblica (festa per invitati al futuro matrimonio) lascia da “comiziante” alla partner la libertà di amare (altri uomini) è un tipico esempio di violenza psicologica, inflitta alla parte debole, tra l’altro. Oltre alla violenza inflitta agli spettatori inconsapevoli.
La non violenza è esercizio di metodo, di stile, di contenuti, di rispetto dell’altro, di non arroganza. Chi ragiona, ascolta, non professa verità. Fare valere le proprie convinzioni e idee non è esercizio di certezze ma, al contrario, di non violenza. La non violenza è esercizio di libertà. Le battaglie libertarie dei Socialisti e Radicali degli anni ‘70 (divorzio, aborto, etc.), ora quella sul diritto al “fine vita” (vedi il caso Eluana Englaro), la libertà delle scelte sessuali, il colore della pelle che non deve produrre discriminazioni tra persone, sono tutte forme di esercizio della “non violenza”. Il non violento è garantista, il violento è giustizialista, il conformista è violento e prevaricatore. Violenza è dire “siamo il partito degli onesti”, come se l’onestà fosse solo in chi la professa e tutti gli altri fossero “mariuoli”. La rivoluzione è nella non violenza e nella eticità dei comportamenti praticati, che devono essere una forma di resistenza civile. Il “merito” non deve essere un criterio ed un valore nella esclusiva prerogativa delle “Destre”. L’Utopia resta pur sempre patrimonio e spinta propulsiva della “Sinistra” ideale e storica.
Giovanni Maria di Lieto