Tradurre una poesia in un’altra lingua è donare ulteriore vita alla parola e a chi l’ha accolta e offerta. È uno scambio di suoni percezioni e pensieri che si fa intimo dialogo quando chi traduce interiorizza il pensiero e la profondità dell’altro, un dialogo che è al contempo ricerca della natura originaria della parola e della possibilità di ampliarla per riconoscersi nell’altro su un piano, quanto più possibile, egualitario.
Da qui un mettersi e mettere alla prova. Un mettersi alla prova che implica un denudarsi perché il proprio io sappia farsi io corale, coscienza estesa. Cosa, questa, che va di pari passo con il mettere alla prova di un’altra grammatica, di un altro schema sintattico e fonetico, quel legame inscindibile e essenziale che si crea tra poeta e linguaggio.
Ecco, tutto questo, succede in Muri a secco - Mür a secch, l’antologia poetica curata da Marco Bellini e Paola Loreto pubblicata da RP Libri. Con una particolarità. La lingua in cui si traducono i dieci poeti presenti nell’antologia (Sebastiano Aglieco, Corrado Bagnoli, Corrado Benigni, Anna Maria Farabbi, Stefano Guglielmin, Vivian Lamarque, Annalisa Manstretta, Riccardo Olivieri, Paolo Pistoletti, Francesco Tomada) è il dialetto lombardo e a tradurli sono Piero Marelli e Edoardo Zuccato.
Come scrivono Marco Bellini e Paola Loreto nella loro prefazione “l’antologia Muri a secco prende origine dal lavoro svolto negli ultimi cinque anni dall’Associazione Artistico Culturale Artee20 che opera sul territorio meratese. In questo periodo molti sono stati i poeti, provenienti da varie regioni italiane, che hanno avuto modo, grazie a questa iniziativa, di entrare in dialogo con la comunità brianzola portando la propria poesia e, spesso, un linguaggio e uno sguardo sul mondo assolutamente peculiari. Partendo da questa esperienza si è deciso di rinnovare lo scambio invitando dieci poeti, tra quelli già ospitati, a partecipare con tre liriche inedite alla realizzazione dell’antologia. Proprio perché si è scelto di dare valore alle differenze, si sono coinvolti autori provenienti, come detto, da regioni, ed anche generazioni, diverse. […] Consapevoli del grande patrimonio culturale che nel nostro paese è rappresentato dalle lingue minoritarie e dai dialetti e volendo rendere ancora più fertile l’incontro tra le opere ospitate e il territorio ospitante, si è voluto provvedere alla traduzione delle stesse in dialetto lombardo”.
Tradurre nel dialetto del proprio territorio, nel dialetto lombardo. Per ospitalità e inclusione. Perché ne nasca familiarizzazione e familiarità. La concretezza di una condivisione di costumi usanze e tradizioni che appartengono ad una regione specifica e che il dialetto ha fissato in parole ed espressioni lessicali che sono rivelatrici di una specifica quotidianità territoriale. Un amalgamarsi, quindi, per diventare comunità allargata.
Ma non solo. Tradurre in un’altra lingua è un processo di discesa in se stessi e di assimilazione in cui però permane sempre in chi traduce una frattura, uno scarto. Non così quando la lingua in cui si traduce è il dialetto, la lingua delle nostre radici, dei propri padri. Tradurre in dialetto equivale a riappropriarsi di quel passato che di generazione in generazione ci riporta alle nostre origini, per riannodare quel cordone ombelicale in cui tutto – etica e valori, caldo freddo, povertà fame sete, tutto – esiste e insiste. È un farsi, dunque, respiro che attraversa il Tempo in un flusso di energia psichica etica e sociale. Un respiro che ci rende coscienti della nostra esistenza e essenza al punto da riuscire a trasmetterla e ad infonderla in altre radici preservandone la loro peculiarità e identità. Cosa evidente nelle traduzioni di Piero Marelli e Edoardo Zuccato che dalle proprie origini e dalla propria identità personale e territoriale traggono quella linfa vitale che dice e ha cura della specificità e della creatività degli autori tradotti, della loro identità.
Silvia Comoglio
Piero Marelli traduce Stefano Guglielmin
‘N del vegnì ‘l mund misericurdiùs
la sturziàda del temp,
ul duman. Denter ul sò
svirgulàss, la mecaniga
buna per semper, ul perdùn
Nel parto misericordioso
la lussazione del tempo,
l’avvenire. In ogni suo
divergere, il dispositivo
risolutorio, l’assoluzione.
Edoardo Zuccato traduce Annalisa Manstretta
Invernu a Milan Ma son disliberâ dul panorama
e sun chì setâ gió. Ul ciel la vedi no.
Al passa, ul dì, al va ignâ, ul su ’l va in aria e pö ’l va gió,
quand ca ’l sponta e quand ca ’l spariss ti te ’l vedat no,
te sentat menga ul prim frecc in sü a pell,
gh’é no da stell sül züfìtt daa stanza.
Ma son disliberâ dul panorama
cumé ’l fiss un urnament,
luntan, luntan da chì l’é dré vignì scür.
Da föra gh’é ’n vial da lüs,
mi sun chì al cald, g’ho ’na lampada granda in daa stanza.
Ma son rancâ föra un öc c,
sgrabelâ ’na ganassa, tajâ ’na man.
Ho smurzâ ’l ciel,
ho casciâ via ’l scür, tajâ i piant.
Cunt a man manzina, tütt da sbièss scrìv
e scunfónd i robb mort cun quej viv.
Inverno a Milano
Mi sono tolta il panorama di torno
e siedo. Il cielo non lo vedo.
Passa, il giorno passa,
va in alto il sole poi va giù,
non vedi tu alba né tramonto,
non senti il primo freddo sulla pelle,
non ce ne sono stelle sul soffitto della stanza.
Mi sono tolta il panorama di torno
come fosse una ridondanza,
lontano, lontano da qui il buio avanza.
Qui fuori c’è un viale di luci,
ho il caldo, la lampada grande nella stanza.
Mi sono cavata un occhio,
graffiata una guancia, tagliata una mano.
Mi sono spenta il cielo,
scacciata il buio, abbattuta le piante.
Con la sinistra, tutto storto scrivo
e mi confondo quello che è morto, quello che è vivo.
Marco Bellini e Paola Loreto (a cura di)
Muri a secco - Mür a secch
uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea
Antologia poetica
Traduzioni in dialetto lombardo di Piero Marelli ed Edoardo Zuccato
RP Libri, 2019, pp. 125, € 12,00