Certi film sembrano riflettere una realtà che ci è familiare come attraverso uno specchio deformante, che ne esaspera certi tratti quasi per farcene intendere meglio la negatività.
Possono suscitare nello spettatore un effetto contraddittorio: da un lato si può essere indotti a respingerli, proprio perché quella deformazione mostruosa può risultare repellente. D’altro lato però la realtà “parallela” in cui il film ci introduce, può catturare il nostro interesse perché non ci appare davvero arbitraria, perché attraverso paradossi e caricature, divertenti o sinistre che siano, possiamo riconoscere e possiamo giudicare meglio il mondo a cui apparteniamo.
Questa ambivalenza di reazioni può conseguire alla visione dell’ultimo film dell’autore canadese David Cronenberg, Crimes of the future.
Lo spunto intorno al quale ruota il racconto è dei più stravaganti: una coppia di performer si esibisce in locali notturni, in numero orripilanti, nei quali l’uomo si sottopone a una vivisezione pubblica, durante la quale la donna, azionando una strana macchina composta di ossa e di lame, estrae dal suo corpo degli organi “inediti”, e cioè inventati e “allevati” proprio per queste rappresentazioni; e ricoperti di tatuaggi.
Ad aggiungere stravaganza a stravaganza, il rito è vissuto in particolare dall’uomo con un misto di dolore e di godimento, e i tagli che la macchina pratica sul suo corpo adombrano degli organi sessuali.
Quanto al pubblico, assiste al rito sconvolto ma anche affascinato, tanto che molti spettatori lo riprendono con una telecamera.
Dicevo che si può essere tentati di respingere questa e altre simili invenzioni, come uno scherzo macabro, di pessimo gusto. Eppure negli ambienti oscuri, sotterranei, semi-infernali in cui si svolge gran parte del racconto, collocato nel futuro, si possono riconoscere, come anticipavo, fenomeni e ossessioni di una realtà quotidiana e presente, che magari non ci sembrava tanto infernale: l’esibizionismo; la ricerca del successo attraverso trovate sensazionali; il voyeurismo affascinato dall’orrido; la solitudine indotta dalle nuove tecnologie, che possono offrire surrogati anche al sesso; l’inquinamento e le degenerazioni che può provocare sul corpo umano.
Beninteso: questi riferimenti non sono diretti ed espliciti nel film, che preferisce, a un’allegoria dai significati trasparenti, una suggestione più misteriosa. In questo modo, riesce ad alludere, più che a una decadenza della società, addirittura a una degenerazione della specie umana, a una sua disumanizzazione. E se il racconto riguarda in particolare le deformazioni del corpo, è evidente che evoca anche una malattia mortale dello spirito.
Quanto ai due performer protagonisti - efficacemente interpretati da Viggo Mortensen e Lea Seydoux - se danno corpo nei loro spettacoli a quella degenerazione, ne avvertono il dolore e sembra che, portandola agli estremi ed esibendola, vogliano anche denunciarla.
L’uniforme cupezza che avvolge il film, attraversato da alcuni momenti di humour nero, può esasperare. Si tratta comunque di un film quantomeno interessante, che sarebbe sbagliato liquidare come del sensazionalismo superficiale.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 27 agosto 2022
»» QUI la scheda audio)