“La trama di Una vita violenta mi si è fulmineamente delineata una sera del ’53 o ’54... C’era un’aria fradicia e dolente... Camminavo nel fango. E lì, alla fermata dell’autobus che svolta verso Pietralata, ho conosciuto Tommaso. Non si chiamava Tommaso: ma era identico, di faccia, a come poi l’ho dipinto... Come spesso usano fare i giovani romani, prese subito confidenza: e, in pochi minuti mi raccontò tutta la sua storia”. (Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, 1966)
Pier Paolo Pasolini insegnava a Ciampino in una scuola media privata quando io nello stesso periodo frequentavo l’istituto “Nazario Sauro” a Frascati. Erano i primi anni Cinquanta. Se quella scuola non fosse stata privata ma pubblica, io avrei studiato col professor Pasolini. Una occasione allora mancata, ma in qualche modo recuperata con le tante lezioni apprese nel tempo attraverso l’opera, sterminata e complessa, dello scomodissimo e sempre sconvolgente Pasolini.
In quegli anni Pasolini scrive Ragazzi di vita, 1955, e Una vita violenta, 1959. Romanzi verità che svelano realtà sgradevoli. Con un linguaggio che urta il perbenismo e l’ipocrita moralità dell’epoca. Ma «a far scandalo non fu tanto il lessico forte del libro, ma la dignità letteraria che veniva conferita alla parte più bassa e disonorevole della nostra società, cosa che offendeva i benpensanti e l’idea che essi avevano della letteratura» scrive Vincenzo Cerami nella sua prefazione a Ragazzi di vita, edizione Garzanti 2005.
Leggo per primo nel 1960, fresco di stampa, Una vita violenta. Entro nell’animo disperato e fanfarone di Tommasino, ragazzo di borgata, e nella sua vicenda che sembra un vicolo cieco. Anche se in fondo traspare un barlume di luce.
Una vita violenta è violento come la vita. È lotta per la redenzione dalla miseria. È rivendicazione di una dignità di cui si sente forte il bisogno per non essere socialmente emarginati.
Tommasino parla il linguaggio quotidiano di periferia che rende tutto più vero e più crudo. Pasolini comincia a strappare i veli denudando chi dietro quei veli si è sempre parato. E ce n’è abbastanza per intentare un processo a suo carico per oltraggio al pudore.
Guai a dire all’epoca che ti eri letto Pasolini. Una vergogna: Pasolini è omosessuale. E con ciò l’argomento era chiuso.
Pasolini è scandaloso perché la realtà è scandalosa, ma dirlo non è lecito e tantomeno è lecito scriverlo. Pier Paolo Pasolini è “un perturbatore della società”, quella stessa società che non vuole, non può ammettere di vivere in piena perturbazione.
Maria Lanciotti
(da Controluce.it)