Oblò cubano
La truffa di Stato del peso cubano
11 Febbraio 2007
 

La delegazione cubana della Federazione Latinoamericana delle donne rurali (FLAMUR) sta portando avanti una campagna affinché a Cuba esista una sola moneta. Cuba è una dittatura e come in ogni regime totalitario certe lotte sono pericolose, anche se è assurdo un sistema monetario che paga gli stipendi con il peso nacional e vende prodotti al pubblico (fuori dal razionamento alimentare) in peso convertibile. Tanto più assurdo se si pensa che il peso convertibile è la moneta dei turisti e degli stranieri e come valore è quasi parificata all’euro, visto che per cambiare un peso convertibile servono circa ventiquattro pesos cubani. Bene, questa lotta per la giustizia economica a Cuba sta costando arresti e detenzioni alle donne rurali e ai dissidenti, ma in Europa nessuno ne parla. I salari dei lavoratori e le pensioni vengono pagati in una moneta che ha pochissimo potere d’acquisto e che può essere spesa solo utilizzando la libreta del razionamento nei negozi dove non si trovano che pochi generi alimentari. Se un cubano vuole acquistare generi di libera vendita deve possedere pesos convertibili e non è facile se si limita a lavorare onestamente alle dipendenze dello Stato. Dispone di pesos convertibili solo chi lavora nel turismo, nella illegalità (di vario tipo) e chi ha parenti all’estero che inviano periodicamente euro o dollari. Questa realtà ho cercato di denunciarla spesso: Cuba è un paese che vive soprattutto di rimesse degli emigranti, ma non per vera necessità, quanto per un perverso sistema economico interno. Le ricadute positive del turismo non vengono sfruttate dalla popolazione che si deve accontentare di inserirsi nei traffici illegali con gli stranieri, dalla prostituzione alla vendita di prodotti rubati.

A Cuba, secondo la Costituzione del 1976, la politica monetaria compete al Parlamento (parola che in una dittatura fa un po' ridere), ma in realtà è stata sempre determinata da Fidel Castro. Il Comandante ha deciso che il dollaro statunitense non deve più circolare a Cuba e lo ha comunicato a tutti durante una trasmissione televisiva tenuta insieme a Francisco Soberón, Presidente del Banco Nacional. La politica di Castro è stata quella di svalutare il dollaro del venti per cento e il Parlamento, presieduto dal fedele servitore Ricardo Alarcón, si è limitato ad appoggiare in silenzio questa decisione. Il peso cubano reca scritto: «Questo biglietto ha corso legale e forza liberatoria illimitata per il pagamento di tutte le obbligazioni contratte o da eseguire nel territorio nazionale, e costituisce un’obbligazione dello Stato cubano». Tutto questo non è assolutamente vero.

La lotta che sta portando avanti parte della popolazione intellettuale dell’isola, sostenuta dai dissidenti e dalla Federazione delle donne rurali, è volta a fra sì che il denaro posseduto dai cubani abbia un reale valore di interscambio e che i salari servano per comprare alimenti di prima necessità. Per noi che siamo abituati a un sistema economico normale sembra una pretesa dovuta, ma in una realtà dittatoriale come quella cubana è un ragionamento controrivoluzionari che può costare anni di galera.

 

Gordiano Lupi


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