Il 14 gennaio 1816 nell’ex chiesa dello Spirito Santo, nell’attuale via Testoni, si inaugurò una particolarissima mostra con 38 grandi dipinti dei grandi maestri, dal Guercino al Carracci, dal Parmigianino al Perugino, che tornavano a Bologna dopo essere stati trafugati dalle chiese della città e dalla provincia, una ventina di anni prima, per volere di Napoleone. A riportarli a casa fu lo scultore Antonio Canova che, dopo la caduta dell’Imperatore, fu incaricato dallo Stato Pontificio di recuperare quanto concesso a Parigi.
Per la prima volta il pubblico poté vedere tutti insieme, in un imponente colpo d’occhio, in maniera laica, quei capolavori d’arte tradizionalmente considerati come qualcosa che accompagnava le preghiere. Fu un successo. E forse anche per questo la chiesa si convinse a non riportare le pale sugli altarini ma a concederle al Governo cittadino affinché fossero esposte in una sala museale. Nasceva così la Pinacoteca.
È proprio il museo di via Belle Arti a ricordare quell’episodio nella mostra “Antonio Canova e Bologna. Alle origini della Pinacoteca” aperta fino al 20 febbraio. È il primo atto ufficiale della nuova direttrice, Maria Luisa Pacelli, che imprime così un nuovo corso al museo tornato a essere autonomo solo qualche mese fa. Il percorso espositivo, puntuale dal punto di vista scientifico ma godibilissimo anche per non addetti ai lavori, ripercorre le relazioni tra lo scultore, uno dei più importanti esponenti del Neoclassicismo in Italia, e la città. Lo ha curato un giovane ricercatore dell’Università di Bologna, Alessandro Costarelli.
La storia si dipana attraverso i dipinti protagonisti dell’evento del 1816, affiancati da documenti, sculture, calchi in gesso e una bella ricostruzione video, a grandezza naturale, dell’esposizione in Santo Spirito, realizzata dalla Facoltà di Architettura
Si scopre così che Canova ebbe un rapporto speciale con Bologna. Vi arrivò nell’ottobre del 1779, accolto a braccia aperte tanto nei salotto mondani quanto nei circoli culturali, come racconta la prima sezione di questa mostra che presenta alcune chicche come il diario di viaggio con gli appunti dell’artista e la guida, la Falsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia, che egli utilizzò per scoprire i capolavori della città.
Canova vi soggiornerà ancora tra il 1810 e il 1822, rinsaldando il dialogo con l’ambiente artistico petroniano, in particolare con l’Accademia di Belle Arti, partner fondamentale dell’evento. Lo scultore donò a beneficio degli studenti numerosi suoi gessi tra i quali la Maddalena penitente e la Testa di papa Clemente XIII che si trovano nel percorso espositivo. E bolognesi furono i suoi “eredi”: Adamo Tadolini, che ne rilevò l’atelier, e Cicinnato Baruzzi, considerato tra i migliori interpreti dello stile canoviano.
La mostra si conclude riportando i primi vagiti della Pinacoteca, rappresentati dai cataloghi della nuova collezione di dipinti, redatti da Francesco Rosaspina. Oggi invece si può trovare il volume Antonio Canova e Bologna. Alle origini della Pinacoteca pubblicato da Electa, che per l’occasione ha riportato il Bookshop in via Belle Arti. Poi per chi vuole approfondire ulteriormente l’argomento, dal 21 gennaio partirà un ciclo di conferenze di studiosi.
M.P.F.