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Sergio Caivano. Il rastrellamento del ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre 1943
18 Ottobre 2021
 

Una marcia silenziosa e triste ha percorso ieri, 17 ottobre 2021, le vie di Roma in ricordo del rastrellamento del ghetto degli ebrei attuato da reparti tedeschi in data 16 ottobre 1943. Ricordiamo i fatti. Da diversi anni la persecuzione degli ebrei, ritenuti responsabili di ogni male, è in atto, in Germania ed in altri Paesi, per dar luogo “soluzione finale del problema ebraico”, come auspicato da Hitler e dai suoi accoliti. Ma in Italia non si è ancora manifestato in misura così evidente. Il colonnello Kappler, comandante della piazza tedesca di Roma, decide di agire. E lo fa subdolamente. Verso la fine di settembre i suoi uomini fanno sapere agli ebrei racchiusi nel ghetto di Roma (il secondo, per importanza storica, dopo quello di Venezia) che la consegna di 50 kg. d’oro sarà valutata positivamente. Gli ebrei romani del quartiere fanno il miracolo. Privandosi di ogni gioiello, riescono faticosamente a racimolare il quantitativo d’oro richiesto. Ma non basta certo.

Il 16 ottobre 1943 reparti della Gestapo di Roma, rinforzati da reparti provenienti da altre località, irrompono all’alba di quel triste giorno nel ghetto, entrano nelle case, brutalmente sequestrano oltre mille persone. Alcuni si salvano trovando accoglienza nelle abitazioni di diversi cittadini romani, altri fuggendo dalla zona. Vengono radunati e fatti salire su mezzi destinati alla stazione Tiburtina. Da qui sono caricati a forza su treni merci, gli uni ammassati agli altri, senza viveri e senz’acqua. Per evitare tentativi di fuga, o comunque una certa resistenza, vien fatto loro credere che saranno portati a lavorare in Germania. Dalla stazione Tiburtina partono 1.024 ebrei. La destinazione è Auschwitz, il lager più terribile allestito allo scopo. Diversi muoiono nel corso del viaggio. All’arrivo, vengono subito divisi a seconda della loro presunta capacità lavorativa. Le famiglie sono, in tal modo smembrate.

Quando il lager verrà liberato dai soldati dell’armata sovietica, il 27 gennaio 1945, una scena inverosimile si apre ai loro occhi, quella che ormai tutti conosciamo. Dei 1.024 ebrei romani, ritornano in 16, 15 uomini ed una donna. Ma non sono nemmeno ricevuti come dovrebbero. La gente non crede a quanto tentano di dire, non è ancora matura per comprenderne il dramma. Ha scritto Elsa Morante, su La storia (Ed. Biblioteca di Repubblica, 1975, pag. 349): “…L’uomo pesava quanto un bambino. Aveva un numero marchiato sulla carne, e il suo corpo… era ricoperto di profonde cicatrici. Era febbricitante, non faceva che delirare ogni notte, e vomitava della roba nerastra, sebbene fosse incapace di trangugiare qualsiasi cibo. All’arrivo in Italia… per il loro strano aspetto, la gente li riguardava come fossero scherzi di natura… nei loro occhi infossati, neri o marroni, non parevano rispecchiarsi le immagini presenti d’intorno, ma una qualche ridda di figure allucinatorie…”.

 

Sergio Caivano


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