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Se mi strappassi di dosso
la povertà d’un dolore sterile
e muto
e gridassi col pugno volto al cielo
il sapore del ferro che taglia il respiro
e trucida sensi e coscienza,
se in ginocchio cadessi per raccattare
tra polvere e sassi una manciata di vento
e sementi
e umilmente invocassi una sferzata tiepida
di pioggia,
se un grammo di speranza acquistassi
in cambio d’un forziere di niente,
se solo potessi carezzare la fronte
sudata
d’un bimbo che calcia nel prato un pallone
o d’un vecchio che curvo procede
lasciando orme lievi,
se solo lacerassi d’un colpo fibre d’amianto
che strozzano lingua
e progetti di vita
e mi ponessi all’ascolto dei senzavoce e volto
a me uguali e fratelli,
e sollevassi lo sguardo oltre l’umana
afflizione
per ricercarne finalità e predestinazione,
forse allora della mia nudità mi farei scudo
per una intentata riconquista d’insoluto.
Maria Lanciotti