Laureatasi a luglio 2020 in medicina e chirurgia presso l’università di Milano Bicocca, Matilde Vaninetti ha intrapreso, dopo solo un mese, il percorso di specializzazione medica all’ospedale di Addenbrooke’s a Cambridge, UK. Le grandi responsabilità che gli specializzandi hanno fin dai primi giorni lavorativi, i turni lunghi ed estenuanti e le diversità culturali del sistema stesso hanno rappresentato una bella sfida con cui misurarsi e di cui prova a darcene un assaggio con l’articolo che segue.
Alla stregua del frutto che non cade mai troppo lontano dall’albero che lo ha prodotto, la maggior parte di noi avrebbe il desiderio di trascorrere l’esistenza vicino alle proprie radici, nella nazione di appartenenza, accanto ai luoghi dell’infanzia e degli affetti.
Trasferirsi all’estero rappresenta una vera e propria frattura rispetto a tutto ciò che ci è familiare, che ci è noto e che, inconsciamente, ci rassicura. Per qualcuno il trasferimento in un’altra nazione potrebbe sembrare esotico, forse addirittura invidiabile: quello che spesso sfugge è che insieme allo spostamento fisico, immediato e semplice da realizzare, c’è anche quello psicologico, ben più gravoso da rielaborare.
Il “migrante” infatti intraprende un viaggio dentro al suo Io che, espropriato di ogni sicurezza e abitudine, si deve adattare ad una cultura e ad una società diversa. Soprattutto, e non è facile, deve reinventarsi un modo di essere e di agire per potersi riappropriare gradualmente della serenità del vivere. Solo dopo aver imboccato questo percorso la vita all’estero comincia nella sua pienezza: la mente si sgancia dai modi di vivere consueti e ne può apprezzare di nuovi, ci si disancora dalle certezze apprese in patria e si coglie lo scorrere della nuova quotidianità in tutte le sue sfaccettature.
Per questo motivo, definirei i primi mesi di vita all’estero come un periodo in cui nei meandri della mente ci sono molti rumori di fondo: non c’è quella serenità dolce dei weekend in famiglia tra le montagne tanto amate, oppure quella piacevole musica classica tra una deliziosa fetta di torta della nonna e le chiacchere con le amiche di sempre. Piuttosto, vi è una continua ricerca, interminabili dubbi, riflessioni, lezioni spesso imparate in modo doloroso, successi e felicità, ma anche fatiche e momenti di sconforto.
Un sentimento che ho provato spesso e che mi ha afflitto in questi mesi è stata la nostalgia. Si è affacciata al mio orizzonte a volte in maniera dirompente, altre volte in punta di piedi. A tratti assumeva la forma di una persona, di un luogo, di un profumo; in altri frangenti invece aveva sembianze indefinite, di simulacri quasi irrazionali. Mi ha condotta a idealizzare momenti passati con l’illusione di poter cristallizzare delle esperienze così da riviverle all’infinito. Durante le sue varie apparizioni ho potuto comprendere la profondità della nostalgia, uno stato d’animo che investe non solo la lontananza dai miei luoghi del cuore e dai miei cari, ma comprende anche una malinconia di fondo verso una vita che cambia, evolve, abbandona colori e sapori consueti per acquisirne di nuovi, lascia indietro esperienze, suoni e risate.
Nei momenti più bui, la nostalgia innesca una discussione costante sulle motivazioni che ti hanno spinto al trasferimento. Dopo qualche smarrimento, emerge forte la convinzione della bontà delle decisioni prese e della necessità di rivalutarle positivamente a fronte delle esperienze vissute fino a quel momento.
Accanto alle difficoltà appena descritte il mio trasferimento all’estero ha rappresentato anche un periodo di grandi soddisfazioni. Ho scoperto che l’essere umano ha dentro di sé delle qualità e abilità inimmaginabili, che dispiega in base al contesto in cui si trova ad operare. Se percepisce una situazione come difficile o rischiosa, investe tutte le risorse che possiede per cercare di affrontarla e superarla. L’apprendimento in quei momenti viene accelerato con una velocità impensabile in contesti di normalità. Le esperienze attraversate si moltiplicano e ti fanno crescere, i limiti personali si espandono e il bagaglio di conoscenze che si imparano è sorprendente e appagante.
Se ripenso a come mi sentivo qualche mese fa e mi confronto con come sono ora, mi percepisco diversa, più consapevole, più competente, più sicura di me e delle mie capacità. Rivedo le mie esili spalle, su cui ogni giorno carico il pesante zaino con il necessario per la giornata in ospedale: come erano intimorite alla fine di luglio, ora a gennaio le colgo più distese e spero che in futuro diventino sempre più rilassate.
Mentre i miei 25 anni sono ormai al crepuscolo, rifletto sul fatto che grandi scelte di cambiamento portano necessariamente in dote periodi complicati che nell’immediato non regalano un facile accesso alla felicità. Ho però fiducia che, proprio come per le camminate in montagna che amo molto, tanto più lunga e impegnativa è stata l’ascesa, tanto più la vista dalla vetta si rivelerà mozzafiato ripagando con una grande soddisfazione tutta la fatica compiuta. Una soddisfazione che getterà le basi per una vita significativa, su cui poter costruire un’esistenza piena.
Inoltre, dopo tutto questo viaggio, spero di avere nuovi occhi con cui ammirare i paesaggi che non siano condizionati dalla nazionalità o dalla cultura originaria e delle spalle che, ormai allenate duramente, siano sempre pronte a sorreggere tutti i carichi gravosi che la vita mi porrà sul cammino.
Matilde Vavinetti
(dal blog La vita di Matilde, 6 febbraio 2021)