Lo scaffale di Tellus
Thomas Hobbes nell’interpretazione di Dimitri D’Andrea
Thomas Hobbes
Thomas Hobbes 
10 Marzo 2007
 

Dalla scienza all’ipotesi. Dall’antropologia al mito. Il libro di Dimitri D’Andrea Prometeo e Ulisse. Natura umana ed ordine politico in Thomas Hobbes (La Nuova Italia Scientifica, 1997) compie un percorso, che risulta essere alla fine calibrato e molto ben giustificato, cominciando dalla base di partenza di una peraltro scrupolosa analisi antropologica delle opere di Thomas Hobbes (Westport, 1588 – Hardwick 1679) giungendo ad isolare nel suo tragitto alcuni oggetti ben distinti (che appaiono presenti in essa), traendo da questi determinate conseguenze e facendo infine riverberare queste dentro al binomio costituito da due figure del mito classico: cioè i Prometeo ed Ulisse che appaiono nel titolo.

Facciamo un esempio. Dall’analisi comparata degli Elements (1640) e del Leviatano (1651) ne risulta che una delle costanti antropologiche messe in evidenza da Hobbes è quella della paura. Hobbes ne parlerà, in maniera differente e per diversi intenti, non solo in queste due opere. Ecco cosa scrive D’Andrea a proposito: «la paura spinge la ragione ad un raffinamento razionale delle proprie strategie che approderà alla necessità dell’artificio». Cerchiamo di tradurre in questo modo: Hobbes afferma che in ciascun essere umano è insita quella particolare emozione che è la paura; a causa di tale paura questo essere umano avvertirà in se stesso la necessità della costituzione dello Stato-artificio. Lo Stato, dunque, avrà la doppia funzione non soltanto di fungere da catalizzatore dell’umana paura di ognuno ma anche quella di essere unico responsabile e creatore di quell'ordine e di quella pace che egli stesso costituisce al momento in cui forma e si forma la società civile. Società civile che nasce da quel famoso contratto che avrà la funzione di legare in un nesso indissolubile giustappunto quello Stato ed ogni singolo essere umano. Bene.

Una volta che D’Andrea ha posto queste premesse lo vediamo subito far riverberare i suoi assunti nelle due figure del mito di cui si è detto.

«Prometeo… viene proposto da Hobbes come… metafora dell’ordine naturale» ed «Ulisse non indica semplicemente la dimensione autoconservativa della soggettività moderna, mirabilmente compresente già nella figura di Prometeo, ma la forma della sua possibile soddisfazione»; cioè Ulisse è «la metafora della forma dell’ordine possibile» dice altresì D’Andrea.

Da quello che è l’originario stato di natura, attraverso e per via dell’emozione della paura, l’uomo riesce ad uscire da quest’ordine a lui proprio ed a formare in questa guisa un ordine che è di tipo diverso: Prometeo e Ulisse, dunque, non sono che le rappresentazioni metaforiche appunto di questa uscita e di questo dar forma.

A questo punto appare utile soffermarci su di una circostanza particolare.

Le teorie politiche di Thomas Hobbes non sono, a tutt’oggi, state frequentate e percorse come si dovrebbe dalla differente critica filosofica (non solo italiana). Il lavoro di edizione complessiva dei suoi manoscritti tuttora inediti è, inoltre, tuttora in fase di realizzazione.

Dati questi motivi, un volume come quello in oggetto non potrà che portare sicuramente un contributo comunque significativo all’intelligenza della totalità degli attuali studi hobbesiani.

 

Gianfranco Cordì


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