Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. La Madonna nel Giardino di Antonio da Negroponte
13 Gennaio 2021
 

Se si volesse cercare una Venezia salva dai turisti, impervia al loro provocare danni non tanto fisici quanto psicologici, si potrebbe cominciare ad andare oltre San Zaccaria, che è il punto estremo in cui i turisti arrivano. Lì, nella bellissima chiesa di Coducci, stanno alcuni capolavori tra cui la pala del 1505 di Giovanni Bellini, dipinto impressionante che apre il secolo nuovo con un senso dello spazio in cui respiri la natura e insieme senti la forza della architettura dipinta. Poi, nella chiesa di San Francesco della Vigna, insieme ad alcuni affreschi e a una tavola pochissimo conosciuta di Federico Zuccari (pittore dell’Italia centrale che comunque ha rapporti con Venezia alla fine del Cinquecento, portando un’ulteriore testimonianza di quello che si chiama Manierismo), c’è una tavola meravigliosa di Antonio da Negroponte, pittore di cui si conosce solo quest’opera, una Madonna col Bambino e tanti angeli e soprattutto animali, un universo infinito di fauna e di flora.

La Madonna di Antonio di Negroponte rappresenta il massimo che si può esprimere nella civiltà del gotico internazionale, il cosiddetto “gotico fiorito”, la stessa cultura di un pittore cortese di cui si conoscono i capolavori a Mantova e soprattutto a Verona: Pisanello. Antonio Pisani o Pisano, detto Pisanello, è un artista sublime che rappresenta la fine della civiltà gotica, il tramonto del medioevo, quando, mentre si afferma la nuova lingua di Masaccio e dei pittori fiorentini, lui, pur pisano di origine, nel Veneto mantiene tenacemente viva questa tradizione e la porta a una dimensione anche più crudele, tanto che nel suo capolavoro, l’affresco di San Giorgio e la principessa, nella chiesa di Santa Anastasia a Verona, si vedono due impiccati sul fondo con un cielo sinistro. Ebbene, una versione meno drammatica, meno intensa del gotico internazionale, la dà Antonio da Negroponte nella tavola meravigliosa, dove si vede la Madonna col Bambino imponente, grande sul trono di pietra, importante, ma quello che le sta intorno è talmente ricco – vedi il pavone e i vari uccelli e tutte le forme possibili di vegetazione – che è come se la sua figura, pur così emergente, fosse confusa in un grande arazzo. Si tratta di un dipinto impressionante, perché umanizza, senza volerlo e senza portarlo alla dimensione tragica dell’uomo, la figura divina. La immerge in una dimensione di fenomeno naturale, quasi a dire che, come ci sono i più bei fiori, i più bei frutti, i più belli uccelli, c’è anche la Vergine col Bambino, o, viceversa, che a una bellezza tanto grande da meritare di abitare in un paradiso terrestre devono corrispondere anche le cose più belle del creato. È dunque un inno alla bellezza di Dio, perché per il resto non c’è dramma, non c’è riferimento a nulla di quello che attraversa in quegli stessi anni la pittura del Rinascimento. Capolavoro solitario di un artista noto solo per quest’opera, che celebra la bellezza di Dio in perfetta e coerente solitudine, in una chiesa lontana dall’assedio dei turisti, a San Francesco della Vigna.

 

M.P.F.


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