Pianeta jazz e satelliti
Roberto Dell’Ava. Coleman, il capo
Billie Holiday e Coleman Hawkins. New York, 1957
Billie Holiday e Coleman Hawkins. New York, 1957 
09 Gennaio 2021
 

Coleman Hawkins era tornato da poco dall’Europa, in cui aveva suonato per alcuni anni con diversi gruppi sia in Francia che in Inghilterra. In America, nel frattempo, il posto lasciato vacante da Hawkins era stato preso da Ben Webster, Chu Berry, Dick Wilson e Lester Young, anche se ancora incompreso.

L’unica a credere in lui era Billie Holiday e alla ribalta arrivavano pure Don Byas, Illinois Jacquet e Buddy Tate. Molti di questi musicisti si ritrovavano, dopo aver suonato altrove, in un locale aperto ad Harlem tra la 134ª Strada e St. Nicholas Avenue e si sfogavano in lunghe jam sessions.

Rex Stewart ci ha lasciato una colorita descrizione di ciò che accadde in quel locale, quando Bean (era il soprannome di Hawkins) ricomparve a New York. La notizia del suo rientro in patria si sparse in un baleno quando cominciò a frequentare il locale, elegantissimo e senza sassofono.

Tutti si aspettavano che partecipasse ai concerti, ma Hawkins se ne stava tranquillo a sorseggiare qualcosa con un sorrisetto di superiorità e la tensione tra i musicisti si faceva palpabile. Una sera comparve più tardi del solito, verso le tre di notte intanto che Billie Holiday, accompagnata da Lester Young, stava cantando.

Bean tirò fuori il sax e si unì agli altri tra la sorpresa di tutti. Terminato il brano Billie Holiday annunciò al pubblico che aveva avuto il piacere di essere accompagnata dal più grande sassofonista del mondo: Lester Young. Seguì un silenzio impressionante, ma Hawkins non si scompose e chiese al pianista di suonare qualcosa. Tempo velocissimo, quasi impossibile e dopo quella valanga di note si avvicinò al bar per bere, aspettando le reazioni degli altri musicisti a quella serie di virtuosismi, ma nessuno si mosse.

Allora Coleman attaccò di nuovo improvvisando su una ballad con fraseggi vari a dimostrazione di come un tema poteva essere abbellito e terminando con una incredibile cadenza che strappò un applauso fragoroso.

Dick Wilson, uno de sassofonisti presenti, mormorò ad un collega: “Bene, eccoci serviti. Coleman è ancora il capo. Se ti vuoi misurare con lui ti conviene saper bene quello che fai, altrimenti è meglio che ti rivolga altrove”.

 

Roberto Dell’Ava


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