Telluserra
Barbarah Guglielmana. Primo racconto
J.-F. Millet,
J.-F. Millet, 'Angelus' 
12 Novembre 2020
 

Sono giorni di acqua, di quella che senti salire dalle suole, e che ti inumidisce entrambi i pollici delle mani, che pulsa e picchia nelle ossa e che cerchi di asciugare facendo bollire patate, che sono il cibo migliore per quando piove. In questo tempo di acqua il sole è stato dimenticato, se ne fa una imitazione della luce e del calore accendendo candele, lampade piccole non al neon, possibilmente non neon. E si prepara una torta di mele, il cui profumo insieme all’odore dell’incenso contribuisce a scaldare l’ambiente.

In questo tempo segnato da un orologio a forma di luna, vivendo nella pentola delle patate, ho portato ieri una mia amica triste. Il suo raccontarmi borbottava con i tuberi, con del vino ha illuminato gli occhi liberi di annegare. La sua magrezza riesce a muovere ancora l’aria, i vestiti le cadono addosso tenendo la loro linea stirata, il volto disegna intatto lo zigomo e il rossetto sanguina. La collana di finte perle che porta è lunga, ha un doppio giro, ma rimane lunga. Le perle quasi bianche che la formano sono incontabili, perchè lei si muove e riavvolge una parte di collana sull’indice, e così anche se ho iniziato a contare le perle questo mi distrae, mi complica il conto, mi confonde, mi fa sbagliare, sono ottanta, centodieci, novantesei, ogni volta una conta diversa. Così come il racconto della nostra vita, ogni volta il resoconto cambia, si modifica, è un altro.

Alla fine del pranzo, dove ognuna ha mangiato con voracità deglutendo tra una parola e l’altra un boccone di fiato, abbiamo gustato del silenzio. Ed è a quel punto che le patate hanno iniziato a raccontarsi. La storia irlandese con la malattia causata dall’omicete non è stata una stagione, ci dicevano, la carestia è durata anni, le persone morivano, i bambini senza crescere e gli anziani senza riposo. Le patate di Anna Frank coltivate nella cantina non avevano sfamato, urlarono, al contrario ci avevano bruciato. E la polenta con patate che chiamava ‘la tota’ la cugina Nemi era un lusso, quando poteva essere servita nella tavola di otto figli. E di certe miserie le patate sapevano parlare e sapevano tacere, come delle tante violenze domestiche di cui avevano deglutito il boccone amaro. Rimanemmo in un nuovo silenzio, bollire friggere arrostire... La mia amica si tolse infine la sua pelle, con eleganza: sotto i germogli stavano combattendo con i vermi, forse vincendoli, aiutando la digestione di questa vita.

 

Barbarah Guglilemana


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