Lo scaffale di Tellus
Alejandro Torreguitart Ruiz: Ho scritto racconti che non sono racconti (Bozzetti avaneri 1)
06 Febbraio 2007
 

Mi sembra logico. Perché io sono un tipo coerente, come dice Juliana.

Sinora ho scritto due romanzi che col cavolo che sono romanzi. Adesso mi sono messo a scrivere racconti. Ne finivo uno, lo rileggevo e mi dicevo: “E questo ti sembra un racconto?”. In realtà non ero io a parlare ma una vocina che saliva da dentro, la vocina che ho ribattezzato Abel. In onore al ministro della cultura. Che io quando sono giù di morale leggo le poesie di Abel Prieto e mi sento come Rubén Darío. Per non parlare dei romanzi. Un romanzo di Abel Prieto fa più effetto d’una camomilla doppia. Addormenterebbe un cavallo, se il cavallo sapesse leggere. Per tornare alla voce sulle prime un po’ l’ascoltavo ma poi ribattevo duro. “Hai mai letto El pitusa? Hai provato con El vuelo del gato?”. Lei allora taceva. Volevo ben dire. Per lo meno ha buon gusto, la voce. Magari legge Carpentier ma Prieto no davvero. E io allora continuavo a scrivere. Racconti che non sono racconti. Romanzi che non sono romanzi. Quel che so fare.

Alla fine è venuto fuori questo libro. Una raccolta di racconti, direte. No, rispondo io. Un romanzo. E già li sento i critici sprecare parole.

Che romanzo e romanzo… guarda se ora doveva venire un ragazzoto avanero a prenderci per il culo. Ne abbiamo già tanti in Italia che ci provano a inventare un linguaggio nuovo e a sperimentare…”.

Non vi agitate gente. Non vi agitate. Tanto per cominciare io sono cubano, quindi non so niente delle beghe che ci sono là da voi. E se vi dico che questo è un romanzo potete credermi. Un romanzo fatto a modo suo, magari. Ma pur sempre un romanzo. I capitoli sono racconti legati l’uno all’altro, troverete gli stessi personaggi pagina dopo pagina. E il protagonista sono io, c’è poco da fare. Poi racconto una storia che non ha lieto fine, purtroppo. Anzi che non si sa ancora come andrà a finire. La storia di undici milioni di cubani, balsero più balsero meno. Ho cominciato come quando si tiene un diario. Riflessioni. Commenti di vita quotidiana. Un po’ di politica, mica troppa non si deve esagerare. Ansia di pubblicare i miei romanzi. Ho annotato tutto qua dentro. Poi mi sono accorto che le riflessioni prendevano corpo e si facevano storia. Ne venivano fuori rapidi schizzi, come pennellate grezze da artista di strada. Bozzetti avaneri, li ho subito chiamati. Perché tra queste pagine c’è L’Avana di oggi, quella del dopo muro. C’è la mia terra, il periodo speciale, il vento tropicale che fa pensare. Ci sono i tornados che si abbattono per le strade d’una città cadente, le storie d’amore con donne infedeli, le fughe. La santeria coi suoi sacerdoti officianti, babalaos e paleri con più clienti dei medici specialisti. Il ricordo di Che Guevara e la musica di Willy Chirino. La scuola al campo e le famiglie che si sgretolano, il passato che non torna, l’ingegno del cubano che inventa la vita e mestieri impossibili. E ci sono pure i miei racconti impubblicabili scritti tra Le confessioni e Vita da jinetera. Tutti. Bozzetti avaneri che sono Bozzetti cubani. Storie d’una Cuba che cambia e non sa cosa vuol diventare, questo sono. E scriverle mi è costato fatica. Lacrime e sangue. Perché tra queste pagine c’è la mia vita. Per la prima volta.

Per questo se dico che è un romanzo credetemi. E il protagonista è un’isola che spinge lo sguardo verso il futuro e rimpiange il passato.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz


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