Laboratorio
Anna Lanzetta. Studiare con l’arte: Giovanni Pascoli
Alfred Sisley,
Alfred Sisley, 'Frutteto in primavera' 
07 Ottobre 2020
 

Per chi ama l’arte e la poesia, presentiamo il progetto “Giovanni Pascoli, tra parole e immagini”: realizzato a scuola nel 2008 con la prof. Fiorella Menna e gli studenti del biennio dell’ITIS “A. Meucci”.

È bello studiare con l’arte perché rende visibili realtà, sensazioni ed emozioni. Bisogna avvicinare i ragazzi all’arte, patrimonio inestimabile di bellezza, armonia e conoscenze attraverso un gioco di ricerca e curiosità. Quanti dubbi, quante delusioni, quanti sogni sperimentiamo ogni giorno; quante difficoltà e incomprensioni, per qualcuno anche forti traumi, tanto più forti in quanto vissuti in un’età delicata, come l’adolescenza, e ancor più fragile oggi, per mancanza di punti di riferimento sicuri. Per Pascoli l’origine della sua sofferenza ha radici profonde, legate a traumi familiari come i numerosi lutti, le delusioni e le ingiustizie patite. La persona a cui il poeta è più affezionato è la madre, di cui delinea un ritratto molto intenso: Me la miravo accanto / esile sì, ma bella / pallida sì, ma tanto / giovane! Una sorella! / bionda così com’ era / quando da noi partì (“La madre”), immagine che si lega a “La Madre” di S. Lega. Il ricordo dei suoi baci e del vezzeggiativo con cui lo chiamava -Zvanì- basta a definire beati anche se fugaci quei giorni (“Una voce”). La figura materna diventa, quindi, nell’immaginario poetico di Pascoli, sinonimo di sicurezza e protezione dalle minacce del reale. Tenerissima l’espressione: …Soave allora un canto / s’udì di madre, e il moto di una culla (“Il tuono”).

Altrettanto importante è il suo paese natale, che egli ricorda con nostalgia: Sempre un villaggio, sempre una campagna / mi ride al cuore (o piange), Severino: / il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra visïon di San Marino: …oh! fossi io teco; e perderci nel verde, / e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie, / gettarci l’urlo che lungi si perde / dentro il meridïano ozio dell’aie; / …Era il mio nido: dove, immobilmente, / io galoppava con Guidon Selvaggio / e con Astolfo; o mi vedea presente / l’imperatore nell’eremitaggio. / …Ma da quel nido, rondini tardive, / tutti tutti migrammo un giorno nero: / io, la mia patria or è dove si vive: / gli altri son poco lungi; in cimitero. / …Romagna solatìa, dolce paese, / cui regnarono Guidi e Malatesta; / cui tenne pure il Passator cortese, / re della strada, re della foresta. Bellissimo ai nostri occhi il paesaggio assolato e denso di vita che rievoca Vecchia città II di V. Kandisky. Il calore dell’abbraccio dell’ambiente familiare supera ogni altra esperienza: Già m’accoglieva in quelle ore bruciate / sotto ombrello di trine una mimosa, / che fioria la mia casa ai dì d’estate / co’ suoi pennacchi di color di rosa. / …Era il mio nido… (“Romagna”), e l’arte di C. Pissarro materializza la natura in Raccolto generoso e in Falciatura ad Eragny: Lungo la strada vedi su la siepe / ridere a mazzi le vermiglie bacche: / nei campi arati tornano al presepe / tarde le vacche. (“Sera d’ottobre”).

A sette anni Pascoli entra in collegio insieme al fratello Giacomo e alla sorella Margherita. Sono gli anni più spensierati della sua vita, di cui sentiamo l’eco in alcuni versi: È questa una mattina / che non c’ è scuola. Siamo usciti a schiera / tra le siepi di rovo e d’albaspina,… Sono le voci della camerata / mia: le conosco tutte all’improvviso, / una dolce, una acuta, una velata… (“L’aquilone”), versi che riflettono la freschezza dell’adolescenza in convergenza con il tripudio di colori di Frutteto in primavera di A. Sisley. Fondamentale per il poeta è la figura del padre con le sue attenzioni, il suo sorriso, la sua tenerezza e il senso di sicurezza che infonde alla famiglia: E Margherita, la sorella grande, / di sedici anni, disse adagio: “Babbo… / Che hai?” “Ho, che leggemmo nel giornale / che c’è gente che uccide per le strade..., / Chinò mio padre tentennando il capo / con un sorriso verso lei. Mia madre / la guardò coi suoi cari occhi di mamma, come dicendo: A cosa puoi pensare! / E le rondini andavano e tornavano, / ai nidi, piene di felicità… Mio padre prese la sua bimba in collo, / col suo gran pianto ch’era di già roco; …e la baciò, la ribaciò negli occhi… zuppi di già per non / so che martoro. / “Non vuoi che vada?„ “No!„ “Perché non vuoi?” / “No! no!” “Ti porto tante belle cose!” / “No! no!” La pose in terra: essa di nuovo / stese alla canna le sue dita rosa, / gli mise l’altro braccio ad un ginocchio: / No! no! papà! no! no! papà! no! no! (“Un ricordo”). Ed aspettò. Aspetta ancora. Il babbo / non tornò più. Non si rivide a casa… Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini: / ella aveva nel becco un insetto: / la cena dei suoi rondinini. Anche un uomo tornava al suo nido: / l’uccisero: disse: Perdono; /e restò negli aperti occhi un grido / portava due bambole in dono… (“X Agosto”). Il quadro di E. Munch Al capezzale di un defunto esemplifica l’atmosfera di dolore. Il nido è stato violato e il richiamo a L’urlo è inevitabile. L’analogia suono-colore struttura la composizione: violente strisce ondulate, rosse, blu e gialle, generano il cielo e il mare. La figura umana è un’apparizione spettrale, delirante, dagli occhi vuoti. Ma da quel nido, rondini tardive, / tutti tutti migrammo un giorno nero; / io, la mia patria or è dove si vive: / gli altri son poco lungi; in cimitero. (“Romagna”). L’assassinio del padre, la morte della madre e dei fratelli, la dispersione della famiglia, la povertà, la necessità di lottare per vivere costituiscono una frattura rispetto al tempo felice dell’adolescenza e segnano la fine delle illusioni, come ci viene suggerito dalla poesia “Novembre”: Gemmea l’aria, il sole così chiaro, / che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, / e del prunalbo l’odorino/ amaro senti nel cuore… La prima strofa della poesia, creata sul piano delle sensazioni e delle emozioni produce una forte impressione che fa sembrare reale ciò che non è ed è spontaneo il richiamo a Primavera di C. Monet. Ma secco è il pruno, e le stecchite piante / di nere trame segnano il sereno, / e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante / sembra il terreno. Non ci sono più illusioni, le trame degli alberi secchi indicano la perdita dei sogni: Silenzio intorno: solo, alle ventate, / odi lontano, da giardini ed orti / di foglie un cader fragile. È l’estate, / fredda, dei morti, immagine che si configura per noi in Novembre di T. Signorini. La poesia è innervata dalle figure dell’opposizione: suoni dolci verso suoni duri, uso dell’avversativa, ossimoro finale, quasi a voler tendere il linguaggio al massimo dell’espressività. Il nido è stato distrutto materialmente, ma resta aggrappato al cuore del poeta che, infatti, cercherà di ricostruirlo, seppur diverso: Dal selvaggio rosaio scheletrito / penzola un nido. Come, a primavera, / ne prorompeva empiendo la riviera / il cinguettìo del garrulo convito! / Or v’è sola una piuma, che all’invito / del vento esita, palpita leggiera; / qual sogno antico in anima severa, / fuggente sempre e non ancor fuggito: …(“Il nido”). L’assonanza tra scheletrito e nido proietta sul simbolo della famiglia la materialità della morte, ma la piuma che palpita leggera al soffio del vento indica la volontà di resistere, di sopravvivere. Il silenzio predomina e indica la solitudine, l’abbandono, la morte, che pone fine al dolore e alle illusioni, che cadono falciate come in Campo di grano con falciatore di V. Van Gogh. L’ossessione della morte e le figure del padre e della madre popolano la poesia di Pascoli. Alla rievocazione della morte del padre si associano immagini che sottolineano il tema della violenza: Ma uno squarcio aveva egli nel capo, / ma piena del suo sangue era una mano (“Un ricordo”). Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise” (“La cavallina storna). Ora è là, come in croce, che tende / quel verme a quel cielo lontano (“X agosto”). Sofferenza e dolcezza connotano, invece, la rievocazione della figura della madre e della sua scomparsa. Le parole che le dedica nei Canti di Castelvecchio sottolineano la particolare densità affettiva di quel rapporto: «Io sento che a lei debbo la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata…, avanti i prati della torre. Ella stava seduta sul greppo: io appoggiavo la testa alle sue ginocchia. E così stavamo a sentir cantare i grilli e a veder scoppiare i lampi di caldo all’orizzonte…». Gioia e dolore, dolcezza e angoscia si accompagnano al tema della presenza-assenza: Sentivo una gran gioia, una gran pena, / una dolcezza ed un’angoscia muta. / - Mamma? - È là che ti scalda un po’ di cena. - / Povera mamma! E lei, non l’ho veduta” (“Sogno”). Ancora, il tema di una comunicazione mai interrotta: O madre seppellita, / che gli altri lasci, oggi, per me; parliamo (“Colloquio”), ma di tante tante parole / non sento che un soffio… Zuanì… (“La voce”). Il nido rimasto vuoto indica prospetticamente la casa dei morti: il cimitero. Inquietudine e disagio segnano ormai l’esistenza del poeta che nei suoi versi esprime lo sconvolgimento del suo essere come Mare in tempesta di G. Courbet.

 

Anna Lanzetta

 

 

(continua)


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