C’è un muro del pianto dell’umanità e io gli sto accanto.
Elias Canetti
Il muro sa andare oltre se stesso: le feritoie, l’occhio, la bocca, l’eco, la crepa, lo spiraglio, la porta... un muro non è mai del tutto veramente chiuso, sembra dire lo scultore Bruno Freddi, e come lui mi racconta -di muri ho sempre scolpito creato rappresentato, parlato nel mio linguaggio, mentre mi accompagna nel suo atelier, offrendomi un grappolo di uva americana, mi mostra le impalcature dei suoi simbolici muri.
Un uomo esce da un muro bombardato, è fatto di quel muro, alle spalle una guerra, nella sua ossatura si intravedono bombe aerei calcinacci detriti, se ne sta andando ma è fatto di quelli, li avrà sempre addosso.
Una donna è a metà nel muro di uno specchio, lo sta scavalcando, se ne sta uscendo e nello specchio si vede com’era, cosa lascia di sé, e prova ad entrare in quello che sarà, vedendosi sempre in entrambe le prospettive.
SPERANZA è invece l’installazione che ha catturato la mia attenzione una volta giunta a Osnago, allestita in Piazza Vittorio Emanuele II, poco distante dal suo atelier, che sarà presente dal 20 agosto al 20 settembre. Quest’anno non ci sarà la biennale, e il Sindaco di Osnago, mi spiega il Freddi, gli ha chiesto un messaggio di questo esserci oggi.
Nasceva così Speranza, un muro a cielo aperto, che rappresenta con scultura e pittura, un passaggio umano attraverso le sofferenze. Alle spalle un arco di muro, l’intelaiatura delle mura lasciate, con valigie a contribuirne nell’ossatura, valigie che ricordano un Olocausto, ed esodi contemporanei.
L'idea di Speranza nasce dall’insieme di due immagini, mi racconta lo scultore, guardandomi con i suoi occhi di acqua cristallina, quando di onde anomale documenta la sua arte. Una vista in televisione, in un campo siriano alcune persone vestite di scuro marciavano in una direzione (la gendarmeria, la morte, la guerra?) ed incontro in direzione opposta veniva un bambino giocando con un cerchio (la vita, la spensieratezza, il futuro?). L’altra immagine mi svela, gli arriva dai racconti del figlio che vive in America, là -gli ha raccontato, i movimenti antirazzisti sono molto sentiti, e popolati, le persone marciano tenendosi la mano.
Da questi INCONTRI lo scultore ha dato vita in un muro aperto ad un passato distrutto che viene lasciato alle spalle, e ad una piazza anteriore che lascia sull'entrata le valigie, popolata di giovani che si danno la mano, che giocano a pallone, di corpi di donna e di uomo, e di quel bambino che gioca con il cerchio, e quindi di un futuro che proveniendo da un passato catastrofico si rimette in gioco per creare nel suo tempo una vita di nuove opportunità.
Grazie Bruno Freddi perché insegni alle generazioni future di rimboccarsi le mani a costruire quello che le passate stanno distruggendo. “TEAR DOWN THE WALL” (cfr. Ronald Reagan).
Barbarah Guglielmana