Ho imparato che bisogna prendere il buono da qualsiasi situazione, ovunque ci si trovi: sulla sponda di un fiume o davanti alle telecamere.
Fare il meglio che si può, capito?
(Sobuj Khalifa)
Daniele Nicastro
Khalifa, un immigrato da medaglia
Einaudi Ragazzi, 2018, pp. 128, € 10,00
Sdraiata comoda con i piedi sul davanzale a prendere l’ultimo sole, posizione da privilegiata, mi sono letta di Daniele Nicastro Khalifa, un immigrato da medaglia. Non riuscivo a staccare la lettura e l’attenzione da un capitolo all’altro, e non capita poi così spesso, volevo sapere subito ieri pomeriggio come era andata a finire questa storia migrata tra un mondo forse povero verso un mondo forse ricco, cosa stava facendo adesso Khalifa con la sua medaglia, che cosa aveva ATTRAVERSATO.
Ma poi cosa posso capire nella mia posizione da privilegiata?
Che cosa vuol dire vivere in una casa di lamiera, che coperta con il bambù scotta un po' meno, ma non ripara molto di più dalle piogge? Cosa vuol dire iniziare a lavorare a sette anni, portare in corsa un risciò con persone sovrappeso? Lasciare una famiglia una madre e delle sorelle per una terra che conosci solo nei sogni di cui hai bisogno? Dormire in una fogna, spostando topi e lucertole? Lavare i panni in un fiume in Bangladesh o nel Tevere? Avere i crampi di fame, quelli di freddo, della povertà e quelli della solitudine? Temere di aver fallito a rincorrere un miraggio? Che cosa vuol dire avere un giorno lungo una notte, una notte lunga un giorno, che cosa posso capire veramente?
Questa testimonianza, con l’intramezzo che non è l’epilogo, questo che lo rende una favola amaramente realistica con un riscatto di sorte, con un rovesciamento del destino temporaneo almeno, ci aiuta a viaggiare dentro una vita, quella di un Khalifa, e questo è il modo in cui noi usciamo da un generale, da un astratto, da un mondo lontano che magari non ci appartiene, e ci addentriamo ad un altro esistere, ad un altro mondo, sempre di questa terra! che aumendandone, e avvicinandone la lente di lettura possiamo rendere più comprensibile, così da vincerne il male, le paure, il pregiudizio. Dichiara la filosofa Carolin Emck: «L’odio si fabbrica il proprio oggetto su misura. L’odio è sempre verso l’alto o verso il basso, si colloca su un’asse dello sguardo verticale, contro “quelli lì sopra”, contro “quelli lì sotto”, contro un categoricamente altro che opprime o minaccia il proprio, laddove l'Altro viene dipinto come una forza presubilmibilmente inferiore: e così i successivi maltrattamenti o crimini risultano misure non solo giustificabili, ma necessarie».
Il pretesto dello scrittore Nicastro è quello di raccontare a dei ragazzi la storia di Khalifa, un migrante originario del Bangladesh: È il paese più densamente popolato del mondo. Vuol dire che ci sono più persone che alberi, e in un posto del genere non si è mai davvero soli, mai tranquilli. Le strade, i mercati, le case, persino i fiumi straripano di gente, e c'è sempre qualcuno che ti guarda e ti chiede cosa stai facendo. Sempre. Raccontare ad adolescenti le traversie del protagonista è stato un espediente strategico, il fare delle sue imprese atti di coraggio e di fortuna, di paura e fallimento, di tentativi e di abbandoni, di gesti da supereroe e da codardi, è uno spiegare - a chi sa ancora ascoltare, come può svolgersi una vita, cosa vuol dire avere un sogno, avere un progetto di miglioramento, non avere un futuro segnato, intercettando così un pubblico che ha - dovrebbe! avere - l’orizzonte aperto, quello del futuro, quello del progetto, quello di chi ha ancora mille strade da percorrere, da provare, da sbagliare e da ricambiare.
La voce di un adulto - saggezza? delusione? - Credo che salvando la vita di qualcun altro abbia salvato se stesso. - ci porta ad una delle tante interpretazioni al gesto di Khalifa, quello di aver salvato una donna che sta affogando nel Tevere rischiando la propria di vita, e di venire a galla ed essere scoperto come irregolare, senza permesso di soggiorno. Un’altra voce - solidarietà? ci avvicina come esseri umani - E gli italiani ora lo considerano un eroe, perché ha salvato la vita di una donna. Siamo felici che persone così siano a pieno diritto cittadini di questo Paese. Ed un’altra ancora - la buona maestra? Un senzatetto, a essere precisi... Una di quelle persone che non hanno niente, eppure sono capaci di dare tutto. Gente semplice, da cui ogni malintenzionato, italiano o stranieri, ma anche ognuno di noi dovrebbe imparare il valore della vita e della generosità.
Ognuno in questo libro, che consiglio di donare - come farò io partendo da Teresa, ad ogni adolescente avrà un suo orecchio ed una sua bocca per definirlo, ma certamente donerà ad ogni lettore (compreso quello ancora in erba dentro ognuno di noi) un nuovo amico, un amico nuovo davvero, attraverso cui farsene dei nuovi in questo mondo sconfinato.
La copertina illustrata da Iacopo Bruno è piena: il colore rosso, il ponte e il fiume del salvataggio, la rosa del venditore, un ragazzino Khalifa con il volto vissuto, in questo trasmettere l’intensità della storia che si fa anticipare per la sua forza e la sua durezza fin dall’inizio...
Barbarah Guglielmana