Compromesso doveva essere ed è stato, ma è indubbio che l’accordo raggiunto dopo 4 giorni e altrettante notti di lunga e a volte tribolata trattativa fra i 27 Paesi dell’Unione europea possa essere ritenuto soddisfacente e significativo, sebbene non rappresenti ancora quella svolta determinante per il processo d’integrazione europea tanto auspicata dai più convinti europeisti. Il fondo di rilancio post pandemia, denominato Recovery Fund, è passato coralmente e senza distinzioni malgrado lo scetticismo della vigilia e la tenace resistenza dei cosiddetti ‘frugali’, assertori del rigido rispetto delle regole economiche.
Guardiamo agli aspetti positivi: per la prima volta viene introdotto un debito comune che chiama i vari stati ad una mutualità e ad una condivisione sconosciute in precedenza. Tale intesa è stata raggiunta in tempi relativamente brevi se confrontati, ad esempio, con la stesura dei bilanci settennali che hanno richiesto discussioni e revisioni infinite prima dell’approvazione definitiva. Per giunta non verrà applicata l’unanimità di consensi per il benestare ai programmi preparati dai singoli membri dell’Ue e nessuno avrà vincoli particolari se non con l’assenso da parte della Commissione, a garanzia del principio di sovranazionalità, e non del Consiglio europeo, istituzionalmente votato a difendere con maggior vigore gli interessi delle singole nazioni. Inoltre, per scendere nello specifico, l’Italia a partire dall’anno venturo e per il successivo biennio potrà contare su una dotazione di oltre 200 miliardi, fra aiuti diretti e prestiti, malgrado questi ultimi siano stati rivalutati rispetto alle sovvenzioni a fondo perso. Un buon risultato, dunque, per i sostenitori dell’unione e non solo, considerato che pure diversi esponenti dell’opposizione al governo Conte hanno dovuto ammettere loro malgrado i vantaggi assicurati al nostro Paese dall’intesa raggiunta a Bruxelles.
Solo poche recalcitranti voci si ostinano, in ossequio al loro elettorato, a negare l’evidenza dei fatti e a riproporre soluzioni del tutto insensate e anacronistiche per la ripresa dell’Italia. Un fatto appare chiaro: l’Europa è viva e vegeta ed ha dato un segnale preciso a quanti ne mettono in discussione la fondamentale importanza, soprattutto in un momento che richiede unità d’intenti e non inutili reticenze. Tuttavia è altrettanto evidente che si tratta di un’Europa tuttora imperfetta e con connotazioni confederali dove prevale ancora l’aspetto intergovernativo a discapito di un’indispensabile consenso pubblico e della partecipazione popolare. Ecco l’importanza di una mobilitazione della società civile e dei suoi rappresentanti in vista dell’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa, dove il ruolo dell’opinione pubblica diverrà essenziale per ottenere un salto di qualità verso l’unione federale dei Paesi europei. In tal senso preannunciamo fin d’ora l’intenzione di organizzare, dopo la pausa estiva, un incontro a Sondrio su un tema di stretta attualità dopo il vertice di Bruxelles, quello del reperimento di risorse proprie da parte dell’Ue per il consolidamento del proprio bilancio pluriennale, da cui scaturiscono risorse utili agli stati ed ai territori, inclusa la nostra provincia, nonostante pochi ne conoscano i benefici.
Guido Monti, responsabile del
Comitato provinciale per l’Europa di Sondrio