Siate brevi nel dire,
semplici e sinceri
questo è l’essenziale.
Fëdor Dostoevskij
L’essenzialità nel dire è una dote che pochi padroneggiano.
È più difficile esprimersi o scrivere in poche righe una verità o una considerazione o un fatto che comunicarlo in un flusso di pagine. In molti lo affermano con convinzione.
Roberto Gervaso, giornalista e scrittore, recentemente scomparso, era solito ripetere: la concisione è l’arte del dire molto con poco; la prolissità, di dire niente con troppo.
Lo sottolinea con molta sagacia il saggista e politico americano Bruce Barton (1866-1967): il Padre nostro, il Salmo 22, il discorso di Lincoln a Gettysburg sono tre grandi perle letterarie che dureranno in eterno. Ebbene nessuno dei tre arriva alle trecento parole. Con simili esempi di quanto sia importante la brevità, è incredibile che gli oratori non imparino a essere brevi.
Essere brevi non sempre però, risulta efficace.
In realtà c’è chi non dice nulla sia nella brevità che nella prolissità, semplicemente perché nulla ha da dire.
La lunghezza, la chiacchiera, il vaniloquio nascondono, quasi sempre, la povertà di idee.
Un proverbio arabo ricorda, in modo inequivocabile, che quando l’intelligenza aumenta le parole diminuiscono.
Italo Calvino nelle sue Lezioni americane esaltava il lavoro dello scultore che, per raggiungere la meta della sua arte, deve soprattutto “togliere” dal blocco di marmo. È un’opera di semplificazione, di essenzialità, di levità.
Nietzsche, il famoso filosofo, nel suo Crepuscolo degli idoli affermava che la sua ambizione era quella di dire in dieci frasi quel chiunque altro dice in un intero libro.
Impresa ardua, dunque, essere brevi e concisi!
Si richiede riflessione, lavorio interiore basato sull’esercizio di mantenere l’equilibrio tra il dire l’essenziale e il tralasciare il superfluo.
Un ricerca costante verso l’ascesi della parola, la purificazione del linguaggio, la riduzione del vaniloquio. (Giuseppina Rando)