Pianeta jazz e satelliti
Roberto Dell’Ava. Floratone - Bill Frisell/Matt Chamberlain
26 Giugno 2020
 

L’abitudine è sempre quella di recensire la novità del momento, ma ogni tanto è bello voltarsi indietro e andare a riscoprire dischi di un passato recente che per un motivo o per l’altro sono presto finiti nel dimenticatoio. Forse, nel caso di Frisell, è complice anche l’estrema prolificità del chitarrista che ha mantenuto una impressionante regolarità nello sfornare album da ormai quasi 40 anni. Non tutti e non sempre, va detto, al massimo livello al quale appartiene per l'illustre carriera e l'indubbia originalità il chitarrista di Baltimora.

Un album molto bello e dalla scrittura particolare questo lavoro del lontano 2007 ascrivibile alla penna di Bill Frisell: dalla prima seduta di libere improvvisazioni del chitarrista con Matt Chamberlain e Victor Krauss i nastri passano nelle mani dei due produttori, Pete Townsend e Tucker Martine, non a caso co-accreditati, ed è la prima volta che succede, come autori nelle note di copertina.

I due svolgono un lavoro di editing, un vero e proprio taglia e cuci, che genera 11 brani sui quali Frisell interviene successivamente scrivendo parti per la cornetta di Ron Miles ed il violino di Eyvind Kang. Infine il chitarrista ed il batterista sovrappongono altre parti con i loro strumenti.

 



 

Il lavoro dura due anni e, a dispetto della genesi descritta, l’album ha un suono estremamente naturale e compatto. In particolare colpisce fin dal primo ascolto la grande fantasia di timbri e colori del chitarrista, decisamente molto più groove e creativo rispetto alle prove di country-jazz, a mio modo di vedere in parte estenuanti, dopo la svolta dell’album Nashville nel 1997.

La musica è un unico, denso flusso, descrive paesaggi sonori fatti di micro-cellule tonali, piccole variazioni, temi accennati e subito sommersi. Non ci sono assoli, tutto è molto fluido ed accattivante. Difficile dare etichettature, ci sono più anime che si fondono nel crogiuolo: spruzzate rock, chitarre country, l’immaginazione fervida di Frisell, il solido sostegno percussivo di Chamberlein, la cornetta eterea di Miles all’unisono con il violino di Kang nel descrivere onirici viaggi .

Un album finalmente diverso e molto attuale a distanza di tredici anni, complesso nella sua apparente semplicità, fruibile sia dall’abituale appassionato di jazz come dai più attenti e ricettivi rock-fans.

Nelle note di copertina viene data particolare enfasi al parallelo che intercorre tra il lavoro di Townsend/Martine con quello che Teo Macero fece con i nastri di Miles Davis. Difficile pronunciarsi, le differenze tecnologiche rispetto a cinquant’anni fa sono estreme, e l’album che si usa come pietra di paragone, l’immaginifico In a silent way, è a mio parere cosa molto diversa e capolavoro imparagonabile al cospetto del pur pregevole Floratone.

 

Track listing: Floratone; The Wanderer; Mississippi Rising; The Passenger; Swamped; Monsoon; Louisiana Lowboat; The Future; Take a Look; Frontiers; Threadbare.

Personnel: Bill Frisell: electric and acoustic guitars, loops; Matt Chamberlain: drums, percussion, loops; Tucker Martine: producer; Lee Townsend: producer. With guests: Viktor Krauss: acoustic and electric bass; Ron Miles: cornet (1-3, 7, 8); Eyvind Kang: violin and viola (1-3, 7, 8).

 

Roberto Dell’Ava


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