Bianca Pitzorno
Il sogno della macchina da cucire
Bompiani, 2019, pp. 240, € 16,00
Chi non è più giovanissimo ricorda bene il tempo in cui non esistevano abiti confezionati, il prêt-à-porter, ma bisognava trovare una sartina che cucisse quei pochi che ci si potevano permettere. Le sartine erano di livelli, bravura e prezzi diversi, ce n’erano per ricchi e per poveri. Ma nelle famiglie si accumulavano tanti lavori di cucito: abiti da rivoltare perché scoloriti dall’uso, che diventavano un capo nuovo, abiti da allargare inserendo un pezzo di altro colore, pantaloncini e vestine da strettire per passarli ai fratelli più piccoli, lenzuoli da rattoppare. Allora la sarta andava a domicilio e trascorreva tutta la giornata lì, fermandosi anche a pranzo. Se chi l’aveva chiamata era solita lavorare nei campi, quel giorno rimaneva a casa a dare una mano, ed intanto imparava a tagliare e cucire.
Anche Bianca Pitzorno ne sa qualcosa, lo ammette nella prefazione, e apre su questo periodo che è durato fino a parecchi anni del secondo dopoguerra, allontanandosi fino a recuperare una storia di fine ottocento.
Sembra un paesino sospeso nel tempo e nello spazio, dove la miseria dilaga a fianco delle famiglie potenti, ricche di casato e di storia. Ci sono tante famiglie che vivono in ambienti umidi e bui sotto al livello della strada, che si arrangiano aspettando qualche commissione – lavare, stirare, cucire – per recuperare i soldi per il pane, il carbone e l’olio per la lucerna. L’alternativa per le giovani donne sarebbe quella di andare a servizio e sopportare in silenzio soprusi e richieste indecenti dei padroni.
Non vuole assolutamente fare la seconda scelta la sartina protagonista di questa storia, che segue le orme della nonna, donna che ha saputo mantenersi da sola con dignità e da cui ha imparato a cucire, cominciando con pazienza dalle cose più semplici. Alla morte della nonna lei deve per forza sviluppare le sue capacità e mettersi alla prova, sia pure con timore. Così comincia ad entrare nelle case delle famiglie bene del paese, rispettosa e rispettata, sempre più brava e richiesta.
A casa non ha la macchina da cucire, la trova in genere quando va a domicilio; quello è uno strumento costoso e prezioso che accelera il lavoro. A casa deve cucire a mano. Ma la frequentazione di queste famiglie la porta a fare conoscenze importanti, a scoprire che cosa scelgono ed amano gli altri, e soprattutto nasce una forte amicizia con una giovane donna, figlia di padre benestante, sfortunata in amore, che le sarà sempre vicina e le donerà una piccola macchina da cucire a manovella. Questo dono cambia la sua vita.
Da bambina non ha potuto permettersi di andare a scuola ma ha desiderato fortemente imparare a leggere e scrivere, tanto da ottenere dalla nonna qualche ora di libertà per farsi insegnare da una vicina. Qui si fonda la sua libertà di pensiero. Scopre il fascino della lirica, cerca di risparmiare per potersi permettere qualche serata in loggione. Ama la bellezza.
Come succede tra povera gente, tra vicini si aiutano, ed anche lei viene pian piano coinvolta nella vita di una bambina di cui condividerà il destino con generosità.
La sua storia si intreccia a quella di tutte la famiglie che frequenta e di cui scopre i segreti, per cui il romanzo ci apre la porta dei palazzi signorili, ne mette in mostra scandali, bassezze, tragedie, o magnanimità.
Sensibile, positivamente curiosa ma non pettegola, sperimenta soddisfazioni e delusioni, tutto è una conquista faticosa. Anche l’amore. Tuttavia anche nelle scelte affettive sa distinguersi, tenendo alta la testa senza vergognarsi delle sue emozioni, e andando controcorrente.
Marisa Cecchetti