Cesare Zavattini (Luzzara, Reggio Emilia, 1902 – Roma 1989) sceneggiatore. Rivela la sua singolare personalità, ricca di fantasia e di surreale umorismo, in una vasta e importante produzione giornalistica e letteraria tra il 1931 e il 1942. Esordisce come soggettista e sceneggiatore cinematografico nel 1935 (Darò un milione, di Mario Camerini), affermandosi in seguito con Quattro passi tra le nuvole (1942) di A. Blasetti e I bambini ci guardano (1943) di Vittorio De Sica, che preludono al neorealismo. In quest’ambito, e continuando il sodalizio con De Sica, fornisce un vasto e articolato quadro dell’Italia del dopoguerra con Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948) e Umberto D (1952), dove la sua propensione per un cinema antiromanzesco e cronachistico (teorizzato nella poetica del «pedinamento del coinquilino», cioè nella registrazione diretta della vita quotidiana di un uomo qualunque) trova una esemplare realizzazione. Frutto di più ambiziosi e radicali esperimenti risultano alcune opere e episodi successive (Amore in città e Siamo Donne 1953; Le italiane e l’amore, 1961; I misteri di Roma, 1963, alternate alla collaborazione con Luchino Visconti (Bellissima 1951), A. Blasetti (Prima comunione, 1950), G. Franciolini (Buongiorno elefante! 1952), (Roma ore 11, 1952), e ai generosi tentativi di imprimere nuove svolte alla sua collaborazione con De Sica (Miracolo a Milano, 1951; L’oro di Napoli, 1954; Il tetto, 1956). Esauritasi l’esperienza neorealista, di cui Zavattini è uno dei protagonisti più consapevoli e rappresentativi, la sua produzione risente di una certa involuzione, muovendosi prevalentemente in campo commerciale (La ciociara, 1960); Ieri, oggi, domani, 1963; Matrimonio all’italiana, 1964; I girasoli, 1969; Il giardino dei Finzi Contini, 1971; Lo chiameremo Andrea, 1972; Una breve vacanza, 1973; Il viaggio, 1974, tutti di Vittorio De Sica. In due sole occasioni si è cimentato direttamente dietro la macchina da presa; la prima volta filmando assieme a Francesco Maselli un episodio (Storia di Caterina) Amore in città (1953), interessante per il connubio tra finzione e realtà e per l’ipotesi di fondare una «rivista cinematografica» a cadenza semestrale con l’obiettivo di registrare in presa diretta (e, spesso, con la macchina da presa nascosta) i mutamenti e le trasformazioni del costume; la seconda volta – quasi al termine della sua carriera, a 80 anni compiuti – con La veritàaaa (1982), apologo poetico e surreale denso di spunti polemici e di trovate registiche. Curioso e instancabile sperimentatore, in bilico spesso fra il dovere del realismo e la tentazione della favola, è una delle figure chiave della storia del cinema italiano del secondo dopoguerra, grazie a un sentimento della realtà nutrito di sincera passione per le cose della vita ma anche di un indomito spirito critico incapace di tacere di fronte alle ingiustizie della società.
Il 13 ottobre 1989, giusto trent’anni fa, moriva Cesare Zavattini. Tre decenni paiono poter essere un giusto tempo per analizzare un personaggio così complesso, originale e appassionato quale è stato Zavattini. A lui – nelle diverse vesti di uomo di cinema, scrittore, fumettista, personaggio dal forte impegno politico – molti studi sono stati dedicati in Italia e nel mondo.
Tuttavia un aspetto è rimasto, se non in ombra, certo meno indagato ed è quello che la Biblioteca Panizzi e l’Archivio Zavattini hanno approfondito in questi anni la figura di Za all’estero, in tempi, i suoi, impregnati dal clima della Guerra Fredda e delle contrapposizioni ideologiche.
I risultati di queste ricerche costituiscono l’oggetto dell’esposizione dal titolo “Zavattini oltre i confini”, promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani, Regione Emilia-Romagna – IBC, Comune di Reggio Emilia e Archivio Cesare Zavattini, aperta fino al 1° Marzo 2020, nella storica sede di Palazzo da Mosto di Reggio Emilia.
Il progetto espositivo, curato da Alberto Ferraboschi, si impronta su due linee direttrici: da un lato indaga l’attività svolta nei diversi ambiti (cinema, letteratura, pittura, ecc.), nelle aeree geografiche (sia in Europa nel Nuovo Continente); dall’altro, approfondisce temi e vicende particolari, come quello del viaggio (ad esempio sulle orme di Van Gogh), della pace, dei rapporti con lo scrittore latino-americano Garcia Marquez e con gli ambienti cosmopoliti ebraici.
Nell’esposizione di Palazzo da Mosto, sono confluiti materiali documentari e iconografici che raccontano tutte le attività e la rete di rapporti intessute da questa eclettica personalità: migliaia di carte originali, dattiloscritte e manoscritte, annotazioni autografe, insieme a fotografie, video, manifesti e libri.
Arricchiscono la mostra alcuni dei sui inseparabili oggetti, la macchina da scrivere, il basco, la borsa da viaggio, oltre ai 150 quadri provenienti dalla Pinacoteca di Brera di Milano, facenti parte della celebre collezione 8x10 che Cesare Zavattini aveva raccolto nel corso degli incontri con alcuni tra i più importanti artisti del Novecento.
L’ultima sala del percorso espositivo è dedicata agli scatti inediti di uno dei maggiori fotografi italiani, Gianni Berengo Gardin, realizzate in occasione del lavoro che ripropone la “Luzzana” di Cesare Zavattini nel libro fotografico Un Paese vent’anni dopo.
M.P.F.