In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Sole” di Carlo Sironi
31 Ottobre 2019
 

Uno dei modi con cui l'ideologia può condizionare un racconto, anche cinematografico, è il moralismo: intendendo con questo termine l'attitudine di un autore a esprimere un giudizio morale chiaro e netto sulle azioni dei suoi personaggi, a tal punto che quelle azioni già in partenza assumono quella tinta, positiva o negativa, che deriva appunto dal giudizio dell'autore su di loro; e sono poi raccontate come a dimostrazione di quel giudizio.

Un regista italiano esordiente nel lungometraggio, Carlo Sironi, ha realizzato un film, intitolato Sole, presentato al Festival di Venezia, dedicato al tema della maternità surrogata, e CONTRO la maternità surrogata.

Si racconta di una ragazza, immigrata in Italia dalla Polonia, la quale, rimasta incinta, accetta di vendere il bambino che dovrà nascere, per qualche migliaio di euro, a una coppia sterile di coniugi italiani. Per favorire questa vendita, il nipote del marito della coppia, un ragazzo molto giovane, dovrà riconoscere legalmente il bambino come suo figlio, e poi affidarlo formalmente allo zio.

Ma se il ragazzo accetta, apparentemente senza battere ciglio, con animo imperturbabile, di favorire in questo modo il commercio del bambino, si capisce subito che in cuor suo sente che sta facendo qualcosa che non va: e infatti è sempre scontento, scontroso, implicitamente ostile a quello zio con cui ha stretto l'accordo, mentre riserva le sue rare espressioni di simpatia, o perfino di tenerezza, a quella ragazza polacca con cui, anche per avvalorare la finzione della paternità, deve provvisoriamente convivere. E d'altro canto la ragazza, se forse vorrebbe sbarazzarsi del bambino a cuor leggero, e poi, con i soldi così guadagnati, trasferirsi in Germania, non può impedirsi di affezionarsi al figlio – anzi, si scoprirà, alla figlia – e di guardare come a dei nemici coloro che si preparano a strappargliela.

E che l'autore abbia lo stesso sentimento dei due ragazzi, e che anzi forse lo abbia trasferito in loro, lo dimostrano tanti particolari: come il modo in cui rende il pianto del neonato, che suona come il grido dell'innocenza offesa; o il sorriso della madre acquisita quando tiene tra le braccia la bambina, che appare avido e crudele. Ma lo dimostra forse più di tutto una situazione che inventa: quando il neonato sta per essere definitivamente consegnato alla coppia, nell'appartamento in cui i due ragazzi convivono, come provvidenzialmente si spengono le luci, per un black out, il ragazzo accende una candela, e quell'appartamento di periferia si trasforma per qualche attimo in un presepe, nella grotta di Betlemme.

La tesi del film che i due ragazzi dovrebbero restare insieme, il ragazzo trovarsi un lavoro e aiutare la ragazza a crescere il suo bambino.

Quando un giudizio morale è così sovraimpresso a un racconto, tende a impoverirlo e a schematizzarlo: lo priva cioè di quelle ambiguità, di quei chiaroscuri che sono propri della vita reale.

Va detto però che l'autore, Carlo Sironi, dimostra notevoli capacità espressive: nel far parlare i volti e gli sguardi dei suoi personaggi; le intonazioni della voce, per esempio del ragazzo protagonista, quasi sempre taglienti, di sfida, che significano più delle sue parole; e gli ambienti in cui i personaggi sono inseriti, che somigliano a volte a quadri astratti, e che suggeriscono un mondo che vorrebbe disumanizzarli.

Interessante.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 26 ottobre 2019
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QUI la scheda audio)


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