Firenze – Quando sui media imperversavano le ipotesi di una rottura dell’area Euro ed addirittura giravano notizie in base alle quali in Germania avevano già le rotatorie in funzione per la stampa fisica delle banconote in marchi, noi di Aduc scrivevamo che la crisi era perfettamente risolvibile e che sarebbe stata solo ed esclusivamente una scelta politica. Scrivevamo che non era una questione tecnica legata alla presunta insostenibilità dei debiti, ma solo una questione di scelta politica.
Il rischio poteva venire solo da un’assoluta incapacità politica di gestire la questione, ma ci sembrava altamente improbabile una rottura dell’area Euro perché la scelta era troppo costosa per tutti i politici che erano in gioco. Ritenevamo che una soluzione, alla fine, l’avrebbero trovata.
In sintesi, mentre la grande maggioranza dei commentatori proponeva scenari catastrofici, noi sconsigliavamo fortemente di vendere i titoli di stato italiani (e per chi aveva il giusto profilo di rischio sottolineavamo come quei prezzi fossero un’occasione). Queste cose sono scritte e quindi chi vuole può tornare a leggerle sul web di Aduc.
Oggi la situazione è molto diversa, ma non dal punto di vista delle variabili macro economiche bensì dal punto di vista politico.
Esattamente lo stesso ragionamento che durante la crisi dell’Euro ci ha portato a ritenere altamente improbabile una rottura dell’area Euro, oggi ci porta a dire che le probabilità, pur restando molto contenute, non sono più irrilevanti.
Ripetiamo, ancora oggi, che non è una questione di numeri, si tratta solo ed esclusivamente di dinamiche politiche. Mentre durante la crisi dell’Euro l’ipotesi di una rottura era politicamente insostenibile, oggi – specialmente in Italia – l’idea che lo stare dentro l’area Euro sia più svantaggioso che vantaggioso si sta facendo sempre più larga e potrebbe essere politicamente premiante cavalcarla, così come nel Regno Unito è stato premiante per una parte politica cavalcare la Brexit.
Non è questa la sede per valutare il merito della vicenda (ovvero la s/convenienza di un’uscita dell’Italia dall’Euro), ciò che desideriamo sottolineare è il cambiamento del contesto politico rispetto al 2010/12.
Nel nuovo scenario politico-istituzionale che si sta delineando, l’Italia potrebbe trovarsi in una situazione particolarmente delicata. Il 31 ottobre prossimo Mario Draghi completerà il suo mandato alla Banca Centrale. Fra i vari candidati che si fanno nei media (Jens Weidmann, Governatore della Bundesbank tedesca, il più probabile; Christine Lagarde, Presidente del Fondo Monetario Internazionale; Ewald Nowotny; Klaas Knot; Ardo Hansson; rispettivamente Austriaco, Olandese ed Estone) tutti hanno profili che – per usare un eufemismo – non sembrano favorevoli agli interessi italiani. I giochi per la successione lasciano spazio ancora a molte sorprese. Una vittoria francese potrebbe vedere una BCE meno ostile ad un prosecuzione delle logiche impostate da Mario Draghi.
È praticamente certo che il prossimo mandato del Governatore della BCE dovrà affrontare un periodo recessivo per l’economia mondiale (non sappiamo quando, ma sappiamo che questo ciclo economico mondiale è durato moltissimo e non potrà che terminare, come tutti gli altri cicli) e se la BCE facesse l’errore di inaugurare una politica monetaria all’insegna del “torniamo alla normalità” invece del “facciamo un passo avanti”, con una recessione alle porte o addirittura conclamate, esporrebbe l’Italia alla speculazione internazionale.
La vittoria di Matteo Salvini alle elezioni europee non potrà che portare instabilità politica dal momento che l’attuale governo è nato in un contesto nel quale il peso politico dei due partiti che lo componevano era esattamente invertito.
I “sovranisti” che hanno vinto in Italia non hanno affatto sfondato a livello europeo. Subito dopo le elezioni Salvini ha promesso un “piano da 30 miliardi” e la volontà di modificare le “regole vecchie” sui conti pubblici. Ma ha ricevuto come risposta sostanzialmente la minaccia delle sanzioni (che già sono state evitate all’ultimo momento).
Si prospetta quindi un quadro composto da un possibile:
1) peggioramento dello scenario economico mondiale con ripercussioni su quello italiano (che da molti anni cresce meno quando gli altri crescono e perde di più quando gli altri perdono);
2) peggioramento della politica monetaria europea;
3) peggioramento delle tensioni politiche interne al governo;
4) peggioramento delle tensioni politiche fra governo e Commissione europea.
Non esattamente un quadro roseo.
In questo contesto, bisogna capire se Salvini sceglierà di usare l’Europa come il “nemico esterno” sul quale far confluire lo scontento della sua base elettorale e puntare al suo successo politico attraverso un’operazione simile a quella compiuta nel Regno Unito, oppure se opterà per una linea più “moderata”.
Al di là delle singole opinioni politiche e delle valutazioni dei singoli partiti, non sembra che si possa dire che lo scenario post elezioni europee sia migliorato per l’Italia nel suo complesso, almeno dal punto di vista delle possibili conseguenze sui mercati finanziari.
Alessandro Pedone, responsabile Aduc
per la Tutela del Risparmio