Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari
06 Maggio 2018
 

Gaudenzio Ferrari nasce intorno al 1480 a Valduggia, in Valsesia (Vercelli), all’estremo confine occidentale dello Stato di Milano. Si forma secondo quanto riferisce il pittore e storiografo lombardo Giovanni Paolo Lomazzo, nella bottega milanese di Stefano Scotto, che secondo lo stesso trattatista era esperto nei «rabeschi», cioè negli elementi decorativi, ma – è sempre Lomazzo che parla – in questa pratica Gaudenzio avrebbe superato il suo maestro. A Milano il valsesino guarda ai pittori della generazione precedente, come Bramantino, allievo di Donato Bramante da Urbino che coniuga lo studio prospettico con un’astrazione quasi metafisica. Ma anche Leonardo da Vinci, presente nell’ultimo ventennio del Quattrocento nella capitale del ducato, deve averlo impressionato con la sua pittura legata alla rappresentazione dei moti dell’animo e dei caratteri grotteschi.

Le prime commissioni arrivano dalle valli natali, dove probabilmente affianca lo Scotto in alcune imprese (cappella del Sepolcro della Vergine al Sacro Monte di Varalo, Vercelli) per poi affrescare, da solo, la cappella Scarognino, nel 1507, in Santa Maria delle Grazie a Varallo. Qui – dopo un viaggio di formazione a Roma e forse anche a Firenze (dove ha modo di studiare, uno dei pittori più apprezzati del momento: Perugino) – dipingerà nel 1513, la grande parete del tramezzo con le storie della vita di Cristo. Intanto fervono i lavori al sacro Monte dove Bernardino Caimi, vicario provinciale dei minori osservanti e fondatore del complesso, ha inteso ricreare i luoghi della Passione a seguito di un viaggio in Terra Santa. Gaudenzio interpreta le volontà del francescano, scomparso nel 1500, lavorando sia agli affreschi che alle sculture (secondo Lomazzo solo in terracotta, ma probabilmente scolpite anche in legno). Nascono così i complessi di Betlemme (dove spiccano l’Adorazione del Bambino, dei pastori e dei magi), ma anche la cappella della Crocifissione (prima del 1521), una sorta di Cappella sistina alpina, dove pittura e scultura si fondono in un grande affresco teatrale, che coinvolge profondamente lo spettatore.

Intanto Gaudenzio ha già realizzato alcuni polittici sparsi tra Varallo e il Piemonte orientale (come quello della collegiata di Santa Maria di Arona, in provincia di Novara, presente nella mostra Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari”, distribuita in tre città del Piemonte: Varallo Sesia, Pinacoteca e Sacro Monte; Novara, Broletto, Vercelli, Arca, aperta fino al 1º luglio, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, mettendo a punto una bottega con personalità ben distinte, che gli permette di affrontare più commissioni contemporaneamente e di spingersi fino alla bassa Valtellina, Traona e Morbegno (dove dipinge la toccante Nascita della Vergine, ora in mostra, per una grande ancòna realizzata da Giovanni Angelo del Maino, il più grande scultore ligneo lombardo del periodo). Da Morbegno (Sondrio) viene la sua seconda moglie, Maria Foppa.

Verso la fine degli anni Venti del Cinquecento è a Vercelli, dove, in San Cristoforo, affresca due cappelle e realizza la pala d’altare: la cosiddetta, fortunatissima, Madonna degli aranci.

Nella prima metà degli anni Trenta Gaudenzio arriva fino a Casale Monferrato (Alessandria), pala già in Santa Maria di Piazza: Battesimo di Cristo, presente nell’esposizione piemontese), Como (ante per l’ancona di Sant’Abbondio), scolpita da Maino) e Vigevano dove è voluto dall’ultimo duca Sforza, Francesco II, per lavorare nella cattedrale: qui realizza probabilmente, oltre agli affreschi del coro, più di un’ancona, ma resta soltanto la predella a grottesche di una Pentecoste, ora dispersa. Tra il 1534 e il 1536, Gaudenzio affresca i cori angelici (provvisti di dettagliatissimi strumenti musicali) che coronano l’Assunzione della Vergine nella cupola del santuario di Santa Maria dei miracoli a Saronno (Varese), capolavoro della sua maturità. Di lì a poco Gaudenzio avrà bottega a Milano, dal 1535 provincia dell’impero di Carlo V. Qui si confronta, in una città ormai priva della scuola locale, con il manierismo di Tiziano e dei pittori che cercano di rubargli la piazza: bresciani (Moretto; Savoldo), lodigiani (Callisto Piazza), e forse già cremonesi (Giulio Campi). Gaudenzio si adegua al gusto imperante aumentando le proporzioni (come nel Battesimo di Cristo di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso o, più ancora, nel San Paolo, portato in Francia dalle truppe napoleoniche, oppure nel San Gerolamo in San Giorgio al Palazzo, tutti e tre in mostra). Alla sua morte avvenuta il 31 gennaio 1546, resta in bottega il «Cenacolo bellissimo» sono le parole dello storico aretino Giorgio Vasari realizzato per Santa Maria della Passione (in mostra).

La lezione di Gaudenzio, che grazie ai suoi tanti collaboratori influenza le scuole locali nelle varie città dove tiene bottega – da Varallo a Vercelli, fino a Milano -, verrà interpretato dalla generazione dei pittori di Federico Borromeo: dal Cerano (nativo di Romagnano Sesia, Novara, dove nella parrocchia c’era un polittico di Gaudenzio, ora in buona parte confluito nella raccolta Borromeo, in mostra) al Mazzone, che integra il percorso delle cappelle gaudenziane al Sacro Monte, adeguandosi al linguaggio del maestro più antico. A lasciare la fortuna collezionistica e storiografica del pittore, a livello internazionale saranno soprattutto i conoscitori che dalla metà dell’Ottocento comprano suoi quadri, in Italia, per i grandi musei del mondo. Nel 1956 a Vercelli al museo Borgognona è stata dedicata a Gaudenzio una manifestazione, fatta di prestiti di opere, dall’Italia e dall’estero, fortemente voluta da Giovanni Testori.

Fu. Giovanni Testori che coniò per l’opera di Gaudenzio al Monte di Varallo, il termine di «gran teatro montano».

Il termine di «teatro» connotato dall’aggettivo «montano» amplifica di suggestioni indefinite l’invenzione gaudenziana per la figurazione di Varallo nella sua totalità e, allo stesso tempo, la ricchezza del respiro infinito di un fatto di vita concreta che è in qualche modo l’agire di soggetti reali entro uno spazio altrettanto reale, seppure su schema e canovaccio rituale – perciò storicizzato – nel quale può configurarsi appunto l’«azione teatrale».

 

Maria Paola Forlani


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