In un suo testo teatrale, una tragedia in versi, intitolata: Affabulazione, Pier Paolo Pasolini espone una sua personalissima, visionaria spiegazione sull'origine della guerra. La guerra sarebbe mossa da una congiura dei padri per uccidere i propri figli; un impulso omicida dovuto all'invidia, al senso di rivalità per quei figli divenuti ormai adulti, almeno potenzialmente “giovani padri”; mentre i loro padri effettivi, invecchiando, sono respinti, rispetto a loro, a una condizione quasi infantile. Si vedono strappata dai propri figli quella vita – l'amore, le donne – che prima era come una loro prerogativa, un loro privilegio.
Questa teoria di Pasolini evidentemente non ha, e non vuole avere, nulla di scientifico; contiene quel tanto di verità che appartiene appunto alle visioni poetiche (anche se, certo, è debitrice della psicanalisi di Freud: perché il desiderio dei padri di uccidere i figli sembra il riflesso di quel “complesso di Edipo” per il quale, come è noto, sarebbe il figlio che desidererebbe uccidere il padre per strappargli l'amore della madre).
Il ricordo di questa tragedia di Pasolini – che fu portata al successo nei teatri italiani in primo luogo da Vittorio Gassman nel ruolo del padre “figlicida” - mi è stato suscitato da un film israeliano: Foxtrot, distribuito in questi giorni in alcune sale italiane da una casa di distribuzione indipendente, la Academy Two, vincitore del Gran Premio della Giuria all'ultimo festival di Venezia; di un regista, Samuel Maoz, che già a Venezia aveva vinto il Leone d'Oro per un bel film, Lebanon.
Beninteso: Foxtrot racconta in apparenza una storia che è quasi il contrario di quella raccontata da Pasolini in Affabulazione.
Il protagonista è un padre, un professionista affermato, un architetto di Tel Aviv, che quando riceve la notizia della morte del figlio soldato (sul fronte, sembra di capire, dei Territori Palestinesi), ebbene quel padre è colpito dal dolore più lancinante. E quando poi si scopre lui stesso il fautore, il responsabile della morte di quel figlio lontano, ciò avviene per circostanze del tutto imprevedibili, accidentali.
Eppure, se si osserva attentamente il volto di quel padre nella terza parte del film, quando la notizia della morte di quel figlio è confermata, è ormai un dato di fatto inoppugnabile, si vedrà quel volto rischiararsi di una specie di sollievo, forse di un'infame soddisfazione, così sorprendente che in un primo tempo può sembrarci dovuta a un'insufficienza artistica dell'attore; ed è invece un'espressione coerente con la drammaturgia profonda del racconto. E cioè: il destino tragico, beffardo, che conduce alla morte di quel figlio, si muoverebbe in accordo ai desideri intimi del padre; che di quei desideri sembra del tutto inconsapevole, come cieco (un disegno del figlio ce lo mostra con gli occhi sigillati da un nastro adesivo nero), così come, si ricorderà, nel mito greco era cieco Edipo, il parricida inconscio, l'amante incestuoso di sua madre.
Si potrebbero citare molti elementi a sostegno di questa interpretazione della storia: come la figura inquietante di un cane, un cane domestico, che, in un primo tempo, al primo annuncio della morte del figlio, sembra come volersi avventare contro il padre, per punirlo; o l'incongrua reazione della madre dell'uomo, malata di Alzheimer, che quando egli le dà notizia della morte del figlio, pur comprendendo le sue parole, resta severa e impassibile: severa come un rimprovero.
Voglio invece soffermarmi sulla scena forse più bella del film. Siamo a un check-point, un posto di guardia, nel deserto, dove il figlio-soldato è stato inviato in missione, e dove egli improvvisa un ballo, un foxtrot, abbracciando come partner il proprio fucile. In quella landa desolata, l'unica presenza femminile infatti è una figura di donna, una diva del cinema, dipinta su un camion. E il ballo del soldatino, in apparenza buffo ma in effetti un po' struggente, è come una disperata masturbazione. La guerra sembra fatta apposta per allontanare i figli dalle loro donne, per distruggere la loro sessualità.
Foxtrot ha suscitato le rimostranze del governo israeliano, perché mostra un omicidio accidentale, avvenuto presso quel check-point, ad opera dei militari israeliani. Ma non è, a mio parere, un film di denuncia. È una tragedia a sfondo psicanalitico, simile in questo ad Affabulazione di Pasolini.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 marzo 2018
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