Il nostro giardino
I magnifici quindici... 3. “Il Monastero della Presentazione”  
Una guida del tutto personale alla formazione di una biblioteca di cultura locale in 15 volumi
Monastero della Presentazione. Veduta Nord-Est del complesso edificio come si presenta oggi
Monastero della Presentazione. Veduta Nord-Est del complesso edificio come si presenta oggi 
30 Dicembre 2006
 

Elisa Gusmeroli

Il Monastero della Presentazione

Donne, vergini, monache nella Valtellina del Sei-Settecento

LaboS Editrice, Morbegno 2003

 

Passo dopo passo siamo arrivati, finalmente, al terzo libro da collocare sullo scaffale della nostra biblioteca di casa, nel settore che abbiamo riservato ai libri che ci permettono di conoscere meglio i luoghi dove trascorriamo la maggior parte dei giorni della nostra vita. La successione di questi volumi non è indice di una graduatoria, rappresenta soltanto il segno di una scelta dovuta spesso al tempo che richiedono per una lettura attenta o una rilettura più approfondita. Siamo partiti con il dizionario dei dialetti della Val Tartano, opera di Remo Bracchi e di Giovanni Bianchini. Abbiamo proseguito, poi, con il castello di Domofole, scritto da Rita Pezzola. E questa è la volta di un’altra giovane studiosa, Elisa Gusmeroli. Con un lavoro dedicato alla storia straordinaria di un monastero femminile, sorto a Morbegno nella seconda metà del XVII secolo, a poco più di un decennio dalla fine di quella guerra trentennale che seminò di odio e morte l’intera Europa, compresa la Valtellina.

* * *

Sembra proprio che certe giornate, quando scende una pioggerellina fitta e sottile, abbiano il potere di insinuare nell’animo sensibile una dolce malinconia. Quel sentimento – al fondo, doloroso - che vorrebbe far tornare vivi, senza riuscirci, un quartiere una casa una strada. Così come erano cent’anni fa, così come appaiono fissati nelle vecchie cartoline grigiobianche o seppiate. A due passi dalla maestosa chiesa di San Giovanni si erge un caseggiato massiccio, che occupa irregolarmente lo spazio di un quadrilatero nella vecchia Morbegno. Spazio ben delimitato dalla via Ninguarda, dalla via Fontana e dal vicolo Ninguarda. È uno di quegli angoli del centro storico dove i muri scrostati e le finestre malconce trasudano e conservano mille vite e mille storie. Storie intrecciate di fatica, cattiveria, fame, disperazione, amore, passione e anche – per fortuna – di qualche grande gioia. Chissà quante persone hanno abitato questi edifici nel corso degli anni! Anche senza voler risalire ai secoli più lontani, basterebbe ascoltare il racconto di qualche vecchio morbegnese – qualcuno nato intorno al 1920 tanto per intenderci – per vedere come d’incanto ripopolarsi quelle abitazioni, oggi in evidente stato di degrado e di abbandono. La via Fontana (dedicata al celebre notaio morbegnese Carlo Giacinto) ospitava un tempo il Ristorante Poli, con alloggio. Nel vicolo Ninguarda, invece, proprio sotto quel portico suggestivo - che rappresenta un unicum nel centro storico di Morbegno e permette di “inquadrare” in modo suggestivo la facciata del nostro bel San Giovanni – c’era la merceria delle Molinari, sorelle non sposate, le quali commerciavano in stoffe, tessuti, foderame e telerie. Breve è il tragitto del vicolo Ninguarda. E, per scendere lungo la serpentina della via omonima, si deve curvare a sinistra. Percorsi una decina di metri, ecco una rientranza dove appare una fontanella che ha conosciuto tempi migliori. Su questo lato si apriva la bottega di una famiglia Nani (ricordati come Vìscoli), che aggiustava orologi e sveglie. Ai nostri giorni potrebbe sembrare incredibile ma c’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui si riparava tutto quello che oggi di regola si getta. Un poco più avanti c’era la falegnameria Bonmartini (venivano chiamati Buiatèi, dal comune di origine). E non era ancora finita. Ancora pochi metri e si incontrava la bottega dei Coppo, dove potevi acquistare e, soprattutto, far riparare pentole padelle e pignatte. Quanti ricordi (e quanta malinconia) per chi vive a Morbegno da almeno sessant’anni. Per non parlare, poi, fatti solo pochi passi, della leggendaria cantina Mangiarotti. La scritta è ancora leggibile su due lati, con accanto il nome evocatore di Casteggio, alto luogo dell’Oltrepo pavese dove si producono vini pregiati. Vi si entrava da via Ninguarda scendendo due gradini e, in un ambiente che ai nostri giorni definiremmo assai spartano, – c’erano damigiane e botti a vista – si beveva e si acquistava del buon vino. Di fronte alla nota “vineria”, almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso, un provvido vespasiano invitava alla bisogna... Ai nostri giorni piano piano (a tratti, come in un puzzle) questi angoli e gli immediati dintorni provano a rianimarsi, a rinascere. C’è da alcuni anni la bottega di Camilla, un’artista che decora con motivi delicati maioliche e pietre. Sul lato opposto, una cooperativa – la Labos, quella che stampa il Gazetìn - ha occupato uno spazio lasciato libero con vetrine dove espone libri e riviste. Certo, non torneranno più i Poli, i Vìscoli, le sorelle Molinari. Eppure, un restauro avvenuto nei paraggi in questi ultimi decenni fa ben sperare in una rinascita futura di tutta quest’area importante del centro storico. Di fronte al caseggiato che ho appena descritto, nella via Fontana, si erge un altro edificio, massiccio e possente. Ma questo ha tutta un’altra storia. Niente commercianti, nessun artigiano, nessuna bottega. Invece, per quasi cento cinquant’anni ha ospitato, anzi è meglio dire ha celato, un esercito di monache di clausura. Oggi, dopo un buon restauro, ospita uffici e appartamenti. Di tanto in tanto bisogna ricordarlo: occorre un occhio esercitato e tanta pazienza per riconoscere le tracce del passato e della propria storia. Chi ha fretta, deve rassegnarsi a leggere soltanto la superficie, la quale mostra sovente nient’altro che sporcizia e degrado. Ma talvolta bastano alcuni piccoli segni per indirizzare la nostra attenzione verso un mondo scomparso. Per tornare al nostro percorso, chissà quante volte saremo passati da quelle parti. In via Ninguarda, poco dopo aver incrociato via Fontana, si possono notare due finestre massicce chiuse da sbarre di ferro, spesse come due grosse dita, che vanno a formare delle losanghe. Emergono tra le altre perché danno direttamente sulla via. Osservandole con attenzione, il nostro pensiero corre in modo spontaneo a una prigione, o in ogni caso a un luogo da difendere come una fortezza. Fuochino! Proprio qui sorgeva il Monastero della Presentazione. Un’oasi di preghiera e di penitenza all’interno del borgo di Morbegno. Basterebbe considerare la sua posizione per comprendere che la struttura era ritenuta inaccessibile. In caso contrario un monastero di clausura, una cittadella di vergini consacrate, sarebbe stato costruito in luogo isolato. Così come, d’altra parte, era avvenuto per i due conventi maschili di Morbegno. Quello dei domenicani a est e quello dei cappuccini a ovest, entrambi lontani dall’abitato.

In ogni caso, fino a pochi anni fa erano pochi coloro che a Morbegno passando davanti a quell’edificio austero e massiccio (piazza S. Giovanni a Ovest, via Fontana a Sud, via Ninguarda a Est) avrebbero pensato che lì, proprio lì, fino a duecento anni prima viveva un microcosmo tutto al femminile. D’altro canto, se una giusta curiosità avesse spinto a cercare notizie e informazioni sul monastero delle agostiniane di Morbegno, un vuoto terribile e scoraggiante avrebbe fatto la sua comparsa. Una conferma di questo la offre quello strumento indispensabile per chiunque voglia intraprendere una ricerca storica sulla Valtellina, la cosiddetta “Valsecchi Pontiggia”. Si tratta di una corposa bibliografia, un volume di più di cinquecento pagine, nel quale Laura Valsecchi Pontiggia, bibliotecaria e studiosa di grande valore, ha raccolto ed elencato in modo sistematico tutta la documentazione libraria sulla Valtellina dalle origini al 1977. Pur cercando con acribia, di questo monastero morbegnese non si trova la benché minima traccia. Il nostro monastero femminile sembra quasi aver subito una damnatio memoriae. È di questo parere anche Giulio Perotti, lo storico di Morbegno: «Nella memoria collettiva sembra che la primitiva destinazione dei fabbricati si sia cancellata, eppure, proprio fra queste mura, vissero diverse generazioni di religiose, in monastero che incise senza dubbio nella vita del paese»…

Ma, come accade, talvolta è sufficiente aprire uno spiraglio per cambiare le carte in tavola. La lunga attesa si conclude all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, quando Giulio Perotti pubblica dapprima (1991) sull’Archivio storico della diocesi di Como un saggio ben documentato ("Il monastero claustrale femminile della Presentazione in Morbegno, 1675-1798") e poi un opuscolo di 20 pagine, uscito nel gennaio 1992 come supplemento delle Vie del Bene. E tutto questo riporta l’attenzione su questa istituzione cittadina, ormai dimenticata.

 

Renzo Fallati

(6 – segue)


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