In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Dunkirk” di Christopher Nolan
03 Settembre 2017
 

Ci sono film che hanno al centro le azioni di un personaggio o di un gruppo di personaggi; e ci sono film in cui la situazione, il contesto storico e geografico, l'ambientazione insomma, è predominante rispetto ai personaggi; ed è quella che determina le loro azioni.

È questa seconda l'impostazione del racconto nel film Dunkirk che il regista anglo-americano Christopher Nolan ha dedicato a un episodio della seconda guerra mondiale che ebbe luogo in quella cittadina sul mare al nord della Francia.

La situazione è quella delle truppe alleate inglesi e francesi, asserragliate appunto a Dunkirk, accerchiate dall'esercito tedesco, in quella fase della guerra vittorioso; impedite ad abbandonare la cittadina raggiungendo per mare l'Inghilterra, dai sommergibili tedeschi e ancor più dall'aviazione tedesca che bombarda le navi. Truppe salvate in extremis (è questo il risvolto eroico, luminoso, dell'episodio, in cui risaltano le virtù patriottiche della popolazione inglese) dalle piccole imbarcazioni civili inglesi, che raccolgono l'appello del Primo Ministro Churchill, si dirigono numerose alla volta di Dunkirk, da dove riescono a imbarcare e a evacuare decine di migliaia di soldati.

Si sa che al cinema, nei film di guerra, patriottismo e retorica sono raramente disgiunti, e da questo difetto non è del tutto esente neanche il film di Nolan, che pure è quasi sempre asciutto, quasi cronachistico, tutto fatti e azioni, senza enfasi sui buoni sentimenti, tutt'altro: l'istinto di sopravvivenza, che il movente principale delle azioni dei soldati accerchiati acuisce in loro anche la vigliaccheria, la meschinità, la spietatezza.

La retorica – più che nell'afflusso, salvifico, delle piccole imbarcazioni inglesi – è nella figura dell'indomito comandante della Marina inglese, interpretato molto bene da quel grande attore che è Kenneth Branagh: ma tanto indomito da risultare a volte un po' monumentale.

Ma è la situazione alla base del racconto a ispirare all'autore le immagini più belle, più espressive: come le strade deserte di quella città morta che è divenuta Dunkirk, su cui aleggiano come piccoli fantasmi i volantini di propaganda lanciati dagli aerei tedeschi, e che intimano la resa; o quella larga spiaggia sabbiosa, messa a nudo dalla bassa marea, che sembra un deserto e che dà un senso di morte.

La definizione del contesto, dell'atmosfera dell'ambiente, anche attraverso colori e suoni, così uniformemente plumbea, opprimente, certamente suggestiva, ma che proprio per questo può ingenerare nello spettatore un senso di insofferenza o di monotonia, occupa un tale spazio nel racconto che i personaggi sono un po' respinti ai margini.

Ma anche se visti di scorcio, sono incisi con maestria: penso al maturo comandante di una piccola imbarcazione inglese che mantiene la flemma al cospetto delle disavventure che incontra, eroico, ma con l'aria di chi semplicemente fa il proprio dovere; al naufrago inglese che imbarca, disorientato fin quasi alla follia, alla violenza omicida, ma allo stesso tempo evidentemente vittima di guerra; e ad altri ancora.

Ma forse il personaggio che più resta impresso è quello di un ragazzo che attraverso vari sotterfugi, dopo innumerevoli traversie, riesce a tornare in Inghilterra. Lo ritroviamo alla fine, rannicchiato sul sedile di un treno inglese. Sul suo volto, nero di sporcizia, spicca il suo sguardo offeso. È un'immagine emblematica, perché in quel momento in lui è la bellezza e la gioventù del mondo che appaiono offese, oltraggiate, dall'orrore della guerra.

 

Gianfranco Cercone


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