Maria Lanciotti – “Il mio canto libero”* Alla ricerca della spiritualità – Epilogo
29 Luglio 2017
Il serpente che non può cambiar pelle muore.
Lo stesso accade agli spiriti
ai quali s’impedisce di cambiare opinione:
cessano di essere spiriti
(Nietzsche)
Non mi ero più accostata a un confessionale da quando ne ero fuggita piangendo, quella domenica mattina dei primi anni settanta. E un giorno qualsiasi m’infilai nella prima chiesa che incontrai sulla mia strada cercando un confessore. Non lo trovai, c’era solo il sacrestano che ciabattava intorno all’altare cambiando l’acqua ai fiori, e mi disse che c’era un orario per le confessioni, festivo e feriale. Sedetti a un banco fissando il soffitto affrescato, cercai di connettere senza riuscirvi, poi sentii la musica. Che non era musica sacra e veniva dalla mia testa. Battisti, Il mio canto libero.*
E succede che… io mi capovolgo e tutto mi appare rovesciato. La Croce si fa spada.
E una parola immensa, inesplicabile e abusata, prende a lampeggiare furiosa ad ogni battito di polso: LI-BER-TÀ. Che mi porta al binomio: Verità/Libertà. Che mi ripropone: D=io.
Affari miei, me l’ero voluta. In chiesa non avevo trovato il confessore, e comunque non avevo intenzione di confessarmi ma piuttosto di attaccare briga, ma tra quelle mura impastate di pregiudizi e di fede avevo trovato l’abbandono al mio stesso pensiero vagante in cerca di bersaglio.
Quella mattina in quella chiesa vuota, dopo il primo momento di sgomento, mi confessai a me stessa senza potermi assolvere. Avevo permesso che mi fosse preclusa la libertà di pensiero. Che altra libertà non può esservi per chi – come l’uomo – soggetto all’ordine del cosmo, se non quella di scientemente aderirvi. E ciò che mi era stato propinato come sola verità – o verità assoluta – si era insediato nelle profondità del mio essere invadendomi totalmente. Chi non è passato per certe strettoie non è obbligato a credere o a concedere credito, passi oltre se può.
Dovevo ricominciare tutto daccapo, ma prima dovevo ripulirmi di tutto ciò che non riconoscevo accettabile, se non condivisibile, secondo la natura mia e delle cose. Forte di un naturale principio che sempre mi aveva sostenuto, anche quando non applicato nei confronti miei e altrui, sintesi delle tavole della Legge: Rispetta te stesso e gli altri come te stesso.
A quel punto della vita mi ero letta senza discernimento tutto quello che mi era capitato sottomano. Ingoiando senza masticare e senza rimuginare, divorando pagine e tomi che alleviavano, mentre precipitavano nel mio vuoto, il senso di fame che mi perseguitava. E a un tratto tutta quella mole indifferenziata di letture – mista a discipline intransigenti e rivolte sotterranee – prese a fermentarmi in qualche posto, e fu come essere attaccata da legioni di formiche rosse. E nel combattere i loro morsi dolorosi e vitali il sangue riprese a circolare turbolento, spingendomi al rendez-vous con me stessa, il mio primo nemico.
Il faccia a faccia non è riferibile. Ci vollero anni di scavo e di deflagrazioni per ritrovare la particella che riconobbi come mia, dissotterrata dalla montagna di scorie. Che poteva essere anche solo un granello – però: …se aveste fede quanto un granello di senape… – ma si parla qui d’una formichella a caccia d’una briciola. Presunzione massima, non di una briciola di pane ma di Eterno.
Non fui sola in quel tempo senza orologi e calendari, cadenzato dalle notti cariche di messaggi folgoranti e oscuri. Non fui sola a battermi con me stessa e con le menzogne a grappolo difficili da disinnescare e impossibili da aggirare o scavalcare. Dovevo bonificare la sede del mio pensiero per piantarvi almeno un filo d’erba. Mio padre minatore era con me, era in me, e mi faceva strada, e mi raccoglieva quando stramazzavo per lo sfinimento, e mi suggeriva prudenza mentre m’incitava. E c’erano i buoni e i cattivi maestri che con i loro insegnamenti avevano concorso a formare la mia persona, e c’erano LORO, gli autori di tutti i libri che lessi o rilessi non per diletto ma per studio, non per sfuggire alla realtà ma per calarmici dentro attraverso gli infiniti percorsi che altri avevano tracciato nel tempo come stelle polari sulla mappa del pensiero universale. Rilessi la Bibbia e il Vangelo, lessi o rilessi o semplicemente sfiorai pensatori e filosofi dall’antichità ai giorni nostri, mi risuonò familiare il Zaratustra di Nietzsche ritrovandomi nella sua adesione alla vita dopo infiniti smembramenti e ricomposizioni di ipotesi e asserzioni, dubbi e contraddizioni. Senza trascurare gli autori amati che ogni volta mi regalavano la stessa emozione della prima lettura, ma accompagnata dalle riflessioni che ne scaturivano, e le annotazioni che man mano si aggiungevano ai bordi delle pagine.
Poi non ricordo cosa accadde. O meglio, forse non amo ricordare. Ma so e posso dire che qualcosa di me prese a venirmi incontro – mentre, dopo innumerevoli rovinose cadute, muovevo i primi incerti passi lontano dai muri costruiti e fortificati –, a prendermi per mano, a balbettare il linguaggio comune intanto che tastavamo insieme nuovi terreni.
D’allora non fui più sola, né tantomeno in cattiva compagnia, e rifiutando ogni dottrina cominciai ad imparare ad avere fiducia, nonostante tutto, in me e nelle risorse dell’essere umano, in perenne lotta con il suo bene e il suo male inscindibili. E intuii, semplicemente, che ‘peccare’ equivale ad esistere e che l’innocenza s’inquina – ma non si perde, se per innocenza s’intende purezza di cuore – ogni volta che viene indebitamente violata.
E trovai finalmente il mio dio, il Mistero che tutti – e tutto – abbraccia e contiene.
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