Ma esiste una sanità di montagna? Concettualmente la Costituzione Italiana all’art. 32 afferma che la tutela della salute è un diritto per ogni cittadino in tutto il territorio della nazione. È il modo di declinare in concreto questo diritto che configura un’organizzazione sanitaria che garantisce l’accesso ai servizi agli abitanti delle valli alpine. È solo per questo motivo che si può parlare di sanità alpina e non per altro.
In sostanza l’abitante della Val Màsino dovrebbe avere lo stesso diritto alle cure di quello che abita in Corso Buenos Aires a Milano.
Altra cosa è invece affermare che l’ambiente montano può favorire la cura di determinate patologie cronico-degenerative, come lo è stato in passato con la costruzione dei sanatori, che fanno riferimento alla riabilitazione. Un’organizzazione accorta dovrebbe promuovere tali potenzialità.
Quali modelli organizzativi per tutela la salute delle popolazioni alpine? Basta guardare ai nostri confini, al Canton Grigioni, all’Ato Adige ma anche alla Valcamonica per l’attività ospedaliera.
Vi è un problema di costi pro-capite maggiori? Può darsi, ma ricordo che alcuni fa il presidente dell’associazione italiana di economia sanitaria in un convegno sulla sanità alpina aveva affermato che i provincia di Sondrio si spendeva meno che nelle altre realtà (-50% rispetto a Aosta e Belluno, -100% in confronto a Bolzano e 25% in meno della Valcamonica).
È importante anche come vengono allocate le spese, perché se in 5 anni si chiudono 20 primariati medico chirurgici e se ne aprono 8 burocratico-amministrativi, si capisce perché i medici non sono motivati a venire in provincia o a restarci. Altro che incentivi economici per i neo assunti, che potrebbero configurare una discriminazione con coloro che da anni vi lavorano.
Questo si riflette in un aumento dei tassi di fuga passati dal 10% degli anni 90 al 26 percento del 2015 (ultimo dato disponibile) con punte del 34-35 % nei distretti di Chiavenna e di Morbegno. Ciò comporta, oltre a disagi per i pazienti ed i famigliari, minori ricavi economici per l’Azienda.
Paradigmatico è il caso del POT di Morbegno che, in quanto tale, non può ricoverare direttamente dal territorio, prevede la chiusura del Pronto soccorso. Ma pur essendo il POT un’iniziativa interessante, questo non può sostituire un ospedale funzionante (a Merate il POT è stato proposto in un nuovo edificio e nessuno ha pensati di chiudere la struttura ospedaliera). Nessuno ha mai pensato di trasformare in POT l’ospedale di Edolo o di Menaggio che pur hanno bacini di utenza inferiori non solo a Morbegno ma anche a Chiavenna. E pure il POT per Morbegno è stato deciso pochi anni fa con l’avallo dell’allora giunta e del principale sindacato medico.
Perché un anziano della Valgerola, affetto da polmonite o da scompenso cardiaco o da diabete mellito non può essere ricoverato in un ospedale di prossimità? Forse in Valcamonica e Alto-Lario le forze politiche sono unite nel difendere una giusta sanità mentre in provincia il Pd, che detiene la massima autorità politica sanitaria con la presidenza della conferenza dei sindaci, e la Lega litigano dimenticando le proprie responsabilità. E intanto prosegue la mobilitazione di 40 mila cittadini maggiorenni valtellinesi.
Lodevole è l’iniziativa dell’Assessore al Welfare della Regione Lombardia che ha dimostrato vicinanza alle nostre comunità recandosi all’ospedale di Sondalo con una proposta seria come la convenzione con la Reumatologia del Niguarda, finalmente, dopo anni di occasioni perse.
La Regione Lombardia può dimostrare con i fatti di considerare la sanità di montagna applicando la Legge Delrio che riconosce l’autonomia alla province interamente montane come Sondrio. Basterebbe promulgare una legge regionale che conferisca agli enti locali la gestione dei servizi socio-sanitari in provincia di Sondrio. Sarebbe un passo in avanti per recuperare i tempi perduti.
Gianfranco Cucchi