Le vicende politiche italiane oggi hanno una velocità non paragonabile a quella di alcuni decenni addietro; i cambiamenti sono repentini e pochi anni valgono molti lustri del recente passato. È così che nell'ultimo quinquennio abbiamo assistito all'arrivo di Matteo Renzi nella scena politica nazionale, al suo sfondamento e oggi alla sua parziale ritirata in attesa di un futuro che non è mai stato così incerto.
Il PD di Matteo Renzi ha rappresentato una soluzione di continuità con il passato, non certo adeguata a far compiere al Paese i passi sufficienti per conquistare quella democrazia liberale che l'Italia purtroppo non ha mai conosciuto.
Lo pensavo quando nel 2012 presi posizione a sostegno di Renzi nelle primarie che poi perse contro Bersani. Lo penso a maggior ragione oggi. Decisi di votare allora per Renzi, da radicale, rivendicandolo a viso aperto anche contro gli strali di molti compagni radicali (Pannella compreso), perché vedevo la possibilità di iniziare a scardinare un sistema di potere e di sottopotere e vecchie logiche partitocratiche e antiliberali, che avevano da decenni incancrenito la politica e il dibattito italiano. Logiche che i Radicali hanno combattuto e combattono da oltre 60 anni.
Quando mi recai a votare alle primarie chiesi – e ottenni – che fosse messo a verbale un breve testo che sollecitava il vincitore delle primarie a dare spazio al dialogo con i Radicali, l’unica forza politica che da sempre aveva lottato e lotta contro la partitocrazia (una partitocrazia ormai senza partiti!), contro il consociativismo di maggioranza e opposizioni, contro i riflessi corporativi e i populismi vecchi e nuovi.
A cinque anni di distanza la situazione politica italiana è completamente differente; rispetto alle aspettative iniziali dell'era Renzi qualcosa è stato effettivamente scardinato, ma il grosso del lavoro è ancora quasi tutto da compiere. Renzi ha creduto erroneamente di poter fare tutto da solo o con il solo appoggio della sua cerchia ristretta; il dialogo con i Radicali, più volte offerto e richiesto dallo stesso Marco Pannella, è stato snobbato e spesso evitato, per dare credito a nuove logiche di potere che hanno sostituito, ma non cambiato, se non in minima parte, quelle vecchie.
Non mi sento affatto deluso da Renzi perché non mi sono mai illuso che fossimo giunti alla soluzione; Matteo Renzi è stato (chissà se lo sarà ancora?) un elemento di discontinuità, con grandi contraddizioni che erano evidenti sin dall’inizio, ma che andavano alimentate nei loro aspetti positivi e neutralizzate in quelli negativi.
A differenza di Gianluca Susta, Gabriele Molinari e Marco Marazzi, che su Strade hanno espresso la loro posizione che si riassume nel titolo: “Chi vuole più Europa, diritti e mercato può stare fuori, ma non contro il PD”, io ritengo che chi vuole più Europa, diritti e mercato può anche stare nel PD ma non può stare senza o contro i Radicali. Il che significa recuperare la forma e la sostanza di un rapporto politico che per le elezioni del 2008, con la segretaria Veltroni, venne affrontato in modo "organico" anche se malauguratamente fu impedita un’alleanza con una lista radicale preferendo scegliere chi candidare nelle liste del PD. La fine della segretaria Veltroni segnò anche la fine di quell'esperienza e di qualunque vero rapporto politico, di alleanza, di convergenza e perfino di dialogo tra il PD e i Radicali. L’ha rifiutato Bersani che nelle elezioni del 2013 non li volle in lista per fare una “legislatura tranquilla”; visto da oggi la sua decisione fa per lo meno sorridere. L’ha nei fatti rifiutato Renzi. L'invito di Emma Bonino alla convention del Lingotto può segnare un'inversione di rotta?
Se è vero che dentro il PD esistono anche le posizioni sostenute da Susta, Molinari e Marazzi, la maggioranza di quel partito (parlo della sua organizzazione, ovviamente, non del suo elettorato) è impegnata in altro, che ben poco ha a che fare con l'impegno per le riforme. Siete sicuri che nei circoli del PD si parli di idee, proposte, azioni, cioè di iniziative politiche, invece che di mero potere politico, cioè di posizionamento interno, di correnti, di chi sta con chi, di quote, di “posti”? A ciascuno la propria risposta.
Senza una spinta riformatrice radicale (non riformista, per la miseria! Anche il lessico è importante) questo Paese e questa Europa non andranno da nessuna parte. O meglio non andranno certo verso un futuro di integrazione e di condivisione, federale e unitario, ma si sbricioleranno sotto le spinte dei neo-nazionalisti e dei neo-protezionisti che non troveranno certo argini adeguati in chi continua a guardarsi l’ombelico. Per questo, ora come mai, occorre dare forza ai Radicali, anche essendo iscritti o militanti del PD. Perché dare forza e sostegno ai Radicali è l’unico modo per dare forza a quelle idee che dentro il PD faticano a emergere, sommerse da logiche vecchie, quelle sì che sarebbero da rottamare, immediatamente e senza sconti.
L’Europa federale al primo posto dell’agenda politica e una legge elettorale uninominale e maggioritaria che riduca il potere di clan e famiglie, dovrebbero essere due dei principali temi da trattare, che purtroppo ad oggi non vengono messi al centro delle proposte come dovrebbero, né a livello parlamentare né a livello di iniziativa. Una nuova stagione di lotte per i diritti civili e sulla libera scelta delle persone, anche sul fine vita, dovrebbe essere il secondo pilastro di un nuovo Partito Democratico che non si vede per ora all'orizzonte. Il tutto senza prescindere – come chiede Emma Bonino – dalla proposta di politiche sull’immigrazione che sappiano essere razionali, senza temere le rivolte plebee e le verità conformiste sull'allarme sicurezza o sull'emergenza immigrazione, che ogni giorno sono alimentate da destra e da sinistra e alle quali anche il PD non è insensibile, né estraneo.
Non è questo il tempo per pensare a strategie elettorali personali, ma è l'ora di dare energia e spazio a una nuova coalizione europeista che possa avere la stessa spinta che Macron pare imprimere finalmente alla politica francese. A proposito di Macron, Renzi al Lingotto, pochi giorni fa, ha detto: «Non possiamo permetterci di regalare Emmanuel Macron all'ALDE e a una politica che non è la nostra». È vero esattamente il contrario! È invece proprio la politica di Macron e la sua candidatura indipendente che rappresenta, anche formalmente, lo scavalcamento dei vecchi steccati ideologici tra liberali e progressisti, tra socialisti e mercatisti a dovere diventare quella del Partito Democratico: più Europa, più libertà economiche, più libertà individuali. In poche parole: una politica radicale.
Si potrà obiettare che l'evidente sproporzione di consensi non autorizza la forza politica “minore” a dettare la rotta o a pretendere un ruolo non subordinato o ancillare rispetto a quella “maggiore”. La politica, certo, è fatta anche di rapporti di forza, ma è fatta anche della consapevolezza di cosa si nasconde dentro quei rapporti di forza e di quali effetti politici essi producano.
Se avere più voti significa avere più ragioni rispetto a quello che è l'interesse generale del Paese allora oggi bisognerebbe concludere che ha ragione Grillo - e punto. E ha ragione chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca, la solidarietà europea senza rigore, la condivisione dei rischi senza quelle delle responsabilità, il cento per cento di integrazione europea e il cento per cento di sovranità nazionale. E si potrebbe continuare. Se invece si guarda agli effetti politici del consenso e alla contestuale necessità di creare consenso attorno a politiche che si giudicano “buone” (che creano più libertà, più opportunità, più crescita), penso che proprio la vocazione maggioritaria che il PD rivendica debba oggi portarlo a guardare fuori da sé (non solo in direzione radicale) e a non illudersi della propria autosufficienza.
Basta guardare i sondaggi e basta guardare la realtà. Le ultime amministrative non sono state una catastrofe per il PD solo grazie alla vittoria di Sala a Milano, con una coalizione molto ampia che comprendeva – non a caso – anche i Radicali. Le prossime politiche, se non si avrà la forza di convincere il Parlamento a votare per un sistema elettorale uninominale e maggioritario e si andrà sciaguratamente al voto con il sistema proporzionale e con due leggi asimmetriche tra Camera e Senato, non vedono al momento altre maggioranze possibili di quella trasversale e antieuropea degli “amici di Putin”. Questa prospettiva non certo allettante impone a ciascuno di operare con tutte le forze per scongiurarla.
Igor Boni
(da stradeonline.it, 23 marzo 2017)