Diario di bordo
I detrattori di Sciascia  
di Gualtiero Vecellio
Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia 
05 Ottobre 2005
 

Venghino, signori, si facciano avanti senza timori. Le iscrizioni sono aperte,gli iscritti sono eccellenti: da Pino Arlacchi a Sebastiano Vassalli a Giovanni Roboni; e freschi freschi di iscrizione, ecco arrivare il filosofo siciliano Manlio Sgalambro, e si avvicina lo scrittore emiliano Luigi Malerba. Benvenuti, venghino, signori, senza paura. C’è solo da guadagnare, non si perde nulla…

Il club è quello che possiamo chiamare in sigla DPS: Detrattori Postumi di Sciascia. Gli ultimi due affiliati sono appunto Sgalambro e Malerba, ma non bisogna disperare: altri certamente ne verranno.

Lungamente ascoltato dal Corriere della Sera, ecco alcune perle dello Sgalambro-pensiero che meritano di essere segnalate e ricordate:

«La mafia è un concetto astratto. E gli astratti si distinguono con la logica, non con la polizia…La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile».

Da queste affermazioni oscure su cui non val la pena – pena letterale – di soffermarsi, si passa a qualcosa di più intelleggibile: «Leonardo Sciascia era lo scrittore civile, un maestro di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione si è esaurita. Sciascia non ci serve più. Occorre una nuova riflessione, un’altra coscienza siciliana».


È stato Voltaire nel Dizionario filosofico a elencare le sei disgrazie che a suo giudizio possono capitare a un intellettuale, una persona cioè capace e in grado di pensare in piena autonomia e indipendenza. Tra queste sei disgrazie, l’esser vittima dell’imbecillità; ma più di tutti, pericoloso è l’ultimo punto: quando all’imbecillità si coniuga lo spirito di vendetta, e il fanatismo.

Per tutta la vita Sciascia è stato costretto a fare i conti con queste “disgrazie”; ne ricavava un certo senso di allegria: dalle polemiche e dalla solitudine che gli procuravano: «Voltaire ha raccontato del guaio capitato al filosofo D’Alambert quando con un suo scritto irritò moltissimo i calvinisti svizzeri: “il signor D’Alambert”, scrisse Voltaire, “che già era odiato dai nipoti di Ignazio (e cioè dai gesuiti), è ora detestato anche dai figli di Calvino”. Per Voltaire era come aver raggiunto un vertice di felicità: essere odiato dai due opposti fanatismi. Ecco, a momenti io mi sento preso da questa specie di allegria. Sono criticato da destra e da sinistra. Segno che non servo né la destra né la sinistra».

Ora i fanatici consumano le loro vendette.

Dopo Sgalambro, ecco Malerba. Lo si sarebbe di gran lunga preferito ricordare come l’autore, assieme a Tonino Guerra, delle irresistibili Storie dell’anno Mille, le strampalate avventure di Millemosche, Carestia e Pannocchia. Invece no: Luigi Malerba, emiliano di Berceto, si mette a astrologare di mafia e di Leonardo Sciascia; accuse davvero originali: le posizioni del «maestro di Regalpetra» risulterebbero «vagamente ambigue»; naturalmente «avrebbe mitizzato la mafia», presentandola come «un’entità misteriosa e romanzesca».

Scempiaggini. A volerli raccogliere, gli insulti che gli sono stati rovesciati sul capo se ne ricaverebbe un corposo volume: monumento deprimente e penoso, perché si sono saputi raggiungere livelli davvero avvilenti e stomacanti.

Si accusa Sciascia d’aver assunto posizioni «vagamente ambigue». Ora le posizioni assunte da Sciascia possono essere condivise o meno, come quelle di tutti, ovviamente: ma se una cosa distingueva Sciascia era la chiarezza, la nettezza del suo scrivere e del suo dire, davvero quanto di più vicino all’evangelico SI o NO.

«La mafia è un’associazione per delinquere con fini di arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, ed imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato». Questa la sintetica e perfetta definizione della mafia Sciascia la diede negli anni Sessanta, ed erano davvero in pochi allora coloro che ponevano l’accento e richiamavano l’attenzione sul fenomeno mafioso. E comunque nessuno dei tanti detrattori di oggi.

Bisogna rileggerselo Il giorno della civetta, il racconto che secondo Malerba sarebbe stato letto con golosa attenzione dai mafiosi, per ricavarne un modello e un ideale, da mitizzare.

Si vada alle pagine dove il capitano Bellodi, preso da scoramento e nel timore che il mafioso possa farla franca, cede per un attimo alla tentazione di usare quei metodi al di là e al di sopra della legge che furono del prefetto Cesare Mori, durante la dittatura fascista. Tentazione/illusione, quella che il fine giustifichi i mezzi, che Bellodi subito respinge: il mezzo, anzi, qualifica il fine, e si arriva al nocciolo della questione: «Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non solo le persone come Mariano Arena, e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe di colpo piombare sulle banche, mettere mani esperte nella contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende: revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le tendenze politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare attorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari; e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Solo così a uomini come don Mariano Arena comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi…».

È uno dei tanti “suggerimenti” da Silvio Pellico che magari fossero stati seguiti e applicati quando vennero dati, nel 1962; e magari lo fossero oggi, a quasi cinquant’anni di distanza.

Per passare dalla mafia alla giustizia – tema che per Sciascia era una specie di “ossessione” (e motivi per esserne ossessionati ce n’erano, e ce ne sono) bene sarebbe leggere l’ultimo racconto scritto, Una storia semplice. Anche qui, “consigli” da Silvio Pellico. Sarebbe cosa buona e giusta se al ministero della Giustizia qualcuno decidesse di stampare una pagina di quel racconto, per farla avere a tutti i magistrati. Proprio perché cosa buona e giusta, non se ne farà nulla. Ad ogni modo, la pagina è quella del vecchio professore di italiano che incontra il magistrato, un tempo suo studente; il magistrato è titolare dell’inchiesta che vede il professore come testimone. È compiaciuto, il magistrato: perché pur se debole in italiano è riuscito a ricoprire un incarico importante, delicato, quello appunto di procuratore della Repubblica.

Il professore è feroce: «L’italiano non è l’italiano. È il ragionare. Con meno italiano ancora lei sarebbe ancora più in alto».

Ne siamo certi: se si esaminassero con il metro di un buon professore di italiano le sentenze che sono emesse dai magistrati, si scoprirebbe che una quantità di loro meriterebbe incarichi superiori a quelli che ricoprono, “meritevoli” di una carriera ancor più brillanti. E prima o poi, si può star sicuri, la faranno.

Ma non c’è davvero libro di Sciascia che non ci dica qualcosa di utile e di importante. E la citazione valga per tutti quelli di cui non si fa menzione: La scomparsa di Majorana, che tratta dell’attualissimo rapporto tra scienza ed etica. Roba da Silvio Pellico?

In via incidentale. Sgalambro dice che una volta c’era il giornalismo indipendente di Mauro De Mauro: giornalista che per la sua indipendenza pagò con la vita, perché il coraggioso cronista dell’Ora uscì un giorno di casa, e non vi fece più ritorno.

Tullio De Mauro, il fratello, racconta: «I libri di Sciascia ci hanno aiutato ad aprire gli occhi sul fatto che la mafia non era un fenomeno folckloristico siciliano. E Sciascia si è sempre esposto in prima persona. Io sono stato coinvolto amaramente nel 1970 dalla scomparsa di mio fratello. A Palermo, dove insegnavo, gli amici, i colleghi, gli studenti per strada non mi salutavano. Le persone che frequentavano la mia famiglia si contavano sulla punta delle dita. E Leonardo era lì, come in un’altra serie innumerevole circostanze…».

Pena e avvilimento sono i sentimenti di cui si diventa preda a leggere quel che sostengono Sgalambro e Malerba, anche se Sciascia, probabilmente, “commenterebbe” con un sorriso. Lui in qualche modo aveva previsto quel che sarebbe accaduto e accade: “Vi hanno già catalogato e sistemato”, scriveva su l’Ora del 19 giugno 1955: «Non potete sfuggire al pregiudizio; se poi vi attentate a usare l’ironia siete del tutto perduti: le figure dell’ironia, sono per gli sciocchi di casa nostra del tutto incomprensibili».

Sì, non stupiamoci più di tanto per queste polemiche, per queste meschinerie: l’Italia sempre più è come il paese di Alice: dove tutto è rovesciato; e dove il diritto, appunto è rovescio.


(da Notizie Radicali, 5 ottobre 2005)

Gualtiero Vecellio è il Direttore di Notizie Radicali – il giornale telematico di Radicali Italiani


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