Le cosmogonie sono descrizioni della prima stanza dell’essere. Ogni cosmogonia è fortemente iridata. Chi tenta di accostarvisi si sente stretto dalla mano del fantastico più che da quella della costruzione. Il tema cosmogonico è così grande da sciogliere i suoi confini nell’infinito. È il luogo dell’inverificabile, delle ipotesi che non possono essere contraddette. E, di conseguenza del tutto vere.
Si amano forse le mappe silenziose ed arrischiate delle cosmogonie perché sono abitate da baleni che stanno prima degli schemi della ragione e dell’immaginazione stessa. Ritorna intatta la domanda: l’essere ha una causa iniziale, un suo venire improvviso alla luce e poi un suo scorrere, oppure consiste da sempre in una presenzialità assoluta, con innalzamenti e cadute, offuscamenti e riprese, disfacimenti e rinascite? È una linea dinamica originata da un punto, o una circolarità in cui nessun punto può ambire d’essere il primo rispetto a tutti gli altri che la formano?
Silvano Martini, Tre tempi per un cielo
Frammenti di un discorso sull’arte
Anterem Edizioni, 1995, pp. 88
3 – segue