In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “La la land” di Damien Chazelle
05 Febbraio 2017
 

A volte ci sono film che conquistano il pubblico senza ricorrere agli ingredienti più roboanti del fantastico, senza suscitare la meraviglia, gli shock, le “emozioni forti” (che sono spesso epidermiche); che incantano anche il grande pubblico, per il senso di verità che trasmettono.

Uno di questi casi – piuttosto rari, perché la verità al cinema è spesso rifuggita dagli spettatori – è, a mio parere, La la land, il musical di un giovane regista, Damien Chazelle, che si è aggiudicato agli Oscar ben 14 nomination, fra le quali quella per il miglior film.

La verità a cui mi riferisco è naturalmente la verità specifica dell'arte, e in primo luogo la verità dei sentimenti.

Un luogo comune pretenderebbe che il musical di cui – in certi suoi esempi classici – restano nella memoria le scenografie fantasmagoriche o le coreografie spettacolari, sia fatto apposta per trasmettere un sentimento tutto ottimistico, euforico, dell'esistenza. E come in omaggio a questo luogo comune solo in parte veritiero – fanno eccezione, per esempio, i musical molto belli di Jacques Demy a cui Chazelle si è ispirato e di cui è un cultore – nella prima scena di La la land, i personaggi intonano una canzone che è un inno al valore positivo del sogno, che esso riguardi l'amore o l'arte. (Siamo infatti a Los Angeles, dove in tanti sognano di fare fortuna nello spettacolo). Ma la intonano all'interno – e all'esterno – delle loro automobili, mentre sono impantanati in un ingorgo sotto il sole sull'autostrada.

Un ingorgo di solito, nella vita quotidiana, non è un contrattempo tanto drammatico. Ma il senso di paralisi che è un po' preannunciato da questa prima scena si dirama, in una forma più sottile, più intima, per tutto il corso del racconto.

I due protagonisti sono, è vero, due sognatori, ma come inseguiti da un prematuro senso di sconfitta. Uno dei due è un musicista, appassionato di jazz, e vorrebbe aprire un locale consacrato a questo genere musicale, che egli però ritiene ormai elitario. L'altra è un'attrice, che guarda con ammirazione, con nostalgia, ai film classici della vecchia Hollywood, come Casablanca, Notorius o Gioventù bruciata. Entrambi, insomma, si sentono in contrasto con i tempi in cui vivono, e dubitano del proprio talento, tanto da essere disposti a tradire le proprie aspirazioni. E questo tradimento si ripercuote anche sulla loro storia d'amore, che conosce certo momenti felici, ma che non sempre perseguono con la necessaria convinzione, che finiscono per compromettere.

Ma non si può certo dire che La la land sia la storia di due fallimenti. Suggerisce però che i sogni, anche quando si realizzano, non sempre portano la felicità che si inseguiva attraverso di loro, che l'amarezza può corrodere anche la gloria.

Come si vede, non è un film consolatorio. Perlustra quella zona crepuscolare dei sentimenti, dove affiorano le malinconie e i rimpianti.

Certe immagini sono forse convenzionali. Ma la verità dei sentimenti – che possono contagiare anche molto pervasivamente gli spettatori – prevale di gran lunga sui clichés, come sulla spettacolarità.

E non si può che condividere l'appello implicito a Hollywood che il film contiene, a ritornare al racconto della vita reale, nei suoi splendori e nelle sue miserie.

I due protagonisti – lei, interpretata da Emma Stone, spesso preda di sentimenti contraddittori e laceranti; lui, interpretato da Ryan Gosling, a volte goffo, ma tenero – conquistano per la loro umanità, per cui non appaiono a priori né vincenti né sconfitti.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 4 febbraio 2017
»» QUI la scheda audio)


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