In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “The founder” di John Lee Hancock
23 Gennaio 2017
 

Una delle qualità del buon cinema politico – o del cinema tout court, perché è tutt'altro che certo che esista un cinema che non sia anche politico – è sollevare dei problemi, suscitare dei dubbi, sviluppare la riflessione dello spettatore, piuttosto che dichiarare delle certezze, che sono spesso poi il frutto di semplificazioni della realtà.

The founder - vale a dire “il fondatore”, ma il titolo contiene un sottinteso ironico che poi si comprenderà – è un film di John Lee Hancock dedicato a Ray Crock, l'uomo che ha impiantato la rete di fast-fost MacDonald's.

Ma non si tratta di un vero film biografico. Il personaggio è preso in considerazione quando è già in età matura, fino ad allora un rappresentante di commercio di scarso successo, che riceve come un'illuminazione quando si imbatte, in California, nel primo ristorante fast-food, il capostipite di quella che sarà la catena dei MacDonald's. E in fondo più che la personalità, la psicologia del fondatore, ciò su cui si focalizza il racconto è la logica affaristica in base alla quale si mette in azione. Una logica fondata su alcune semplici parole d'ordine – che nel film gli sono scolpite nella mente attraverso un disco didattico in vinile, che egli ama riascoltare – secondo le quali ciò che più conta nella vita, non è il talento, non è la cultura, ma è la perseveranza.

La perseveranza significa però per il protagonista un accanimento a perseguire il successo negli affari, se necessario a discapito della legalità, o di vecchi valori come la parola data.

Accade che gli ingegnosi inventori del primo fast-food (negli anni Cinquanta), due fratelli, scrupolosi difensori della qualità dei prodotti offerti nel loro locale (in primo luogo, già da allora, l'hamburger in un panino), lasciatisi adescare da un furbissimo socio in affari (the founder, appunto), che promette loro di riprodurre in varie città d'America la loro formidabile invenzione, si ritrovano alla fine spossessati della loro creatura, ridotti al fallimento.

Dicevo dell'ambiguità del film e in particolare del protagonista.

Se la dinamica con cui depreda i due fratelli è vampiristica, se i valori che ispirano la sua azione sono elementari, o meglio ancora: primitivi; se il suo idealismo, e il suo estetismo, è volgare, dozzinale (è estasiato dalle due arcate in giallo che costellano la scritta MacDonald's e che nella sua visione dovrebbero come abbracciare tutte le famiglie d'America), è anche vero che nella sua ricerca del successo, alla fine vittoriosa dopo una serie di cadute e risalite, grazie alla quale ribalta da ogni punto di vista la sua vita, dà prova di un'energia, di una vitalità che possono affascinare.

Mentre i due fratelli MacDonald, se pure sono gli unici personaggi del racconto a loro modo davvero creativi, si lasciano depredare con un'ingenuità che li fa risultare goffi.

E tuttavia nel film, prevale, io credo, il favore, la nostalgia, per la piccola impresa che i due fratelli rappresentano, più rispettosa dei lavoratori e dei consumatori, non così avida e spietata come la multinazionale MacDonald's.

Il film ha il merito di rendere chiara e avvincente una vicenda che è prevalentemente di argomento finanziario. La pittura di personaggi e di ambienti e precisa, sottile, e a volte umoristica.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 21 gennaio 2017
»» QUI la scheda audio)


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