Alberi nella nebbia
reticoli arteriosi
nel silenzio grigio
Ti prego, aiutami
a perdonarmi
Mi angoscia il retropensiero
malato
Unni mi giru giru
c'è u mari...
haiu siti d'amuri
Macchinari immobili
ai bordi
Aspettando te
passi calmi
trascinano
i miei pensieri
sul selciato
Oggi il cielo non ha uccelli
sarà un'anafora
o un'epifora
quella del nastro d'asfalto
che si svolge
che si ripete
che si replica
non so come
non so dove
non so perché
strada... strada... strada...
Grandi rivoluzioni raggiunsero la mia anima
Nubi
come grate
che separano
dal sole
Domani morrò...
capriccio spinoso...
nubi a scolpire
soffici tele...
nella cripta più fonda
di me
Il mio primo funerale
fu immerso nella scighera
e una tavolata di commensali
con la polenta fumante
e il salame del contadino
e il pane casereccio
e il vino caldo
in un'osteria fuori porta
nel sud di Milano
e io volevo tirare le orecchie
al morto, lo zio Pierino
perché pensavo non fosse vero
perché pensavo fosse uno scherzo
Nel labirinto
scrivo
per non perdermi
Che cosa non va
in questi giorni
prima del primo Natale
senza padre?
Chi sono?
Chi non sono?
Ricordo ancora
il ripasso
delle barche da pesca blu
Il Naviglio si stende
lo navigano barconi di sabbia
governati da invisibili
voci
La verità è che vorrei
un anno per ogni tasto
che possiede un pianoforte
Il pianto
delle stelle cadenti
quello che fu
il giorno in cui concepii
mia figlia
Orizzonti stellati
di un cielo lontano...
entra nei pensieri
la nostalgia
Duettano ancora
Paolo e Francesca
in un turbine
di cartapesta
solo il dolore della passione
è vero
appende
squarcia
strazia
Essenza d'ombra...
schiacciato
dall'ennesimo sole
deriso
da un'altra luna
I cento anni virtuali
di mia nonna
avanza l'oceano
della solitudine
onde dopo onde
che portano
conchiglie e rifiuti
le bucce dei mandarini
diffondono
odore e ricordi
Muro...
pianti infiniti
incisi
sulla tua pelle
Corpi inermi
inerti
il medesimo inutile afflato
quando ho smesso di volare?
Mi tormento
al pensiero
Piangere sarebbe scempio
di ogni momento
campeggia la paura
l'illusione incontaminata
Vibrano le corde
dell'armonia
Che cosa mi resta?
Che cosa ci resta?
Sconfitto
dall'umano dio
dell'ignoranza
cavalco
l'onda
della quotidianità
Guardo fuori
oltre le sbarre
oltre le tende
oltre i vetri
oltre i fortuiti palazzi
oltre i campi
oltre le distese alberate
oltre le strade battute dal meccanico nulla
oltre i monti
e approdo
all'orizzonte
che non vedo
all'orizzonte
che ho nelle sterminate
geografie dell'anima
e là mi quieto
nell'infinito silenzio
Opera, sabato 17 dicembre 2016, ore 9-13
Alberto Figliolia, con la collaborazione
dei partecipanti al Laboratorio di lettura
e scrittura creativa della casa di reclusione
di Milano-Opera