Manuale Tellus
Francesco Cecchini. Villa Pisani, Montebelluna 
Memoriale della Grande Guerra 1915-1918
Grande Massacro, Grande Fame
Grande Massacro, Grande Fame 
06 Luglio 2016
 

GRANDE GUERRA,

GRANDE MASSACRO.

La Grande Guerra fu, in realtà un Grande Massacro. Un'intera generazione di giovani, contadini, pastori, bottegai, operai, male vestiti e armati, furono trucidati senza sapere bene il perché nelle neve delle Alpi, nelle pietre del Carso e nella pianura del Piave. I popoli che uscirono da quegli anni di Grande Massacro furono i veri sconfitti, tutti. Per quello italiano la sconfitta fu feroce per i morti in battaglia, la prigionia, le malattie, la vita tremenda delle donne e dei bambini, la fame, l'esodo, il saccheggio e gli stupri dopo Caporetto, le fucilazioni e le decimazioni. Su un totale di 63 milioni di uomini mobilitati, 8 milioni e mezzo furono i soldati morti. I civili furono circa un milione. Il contributo di sangue dell'Italia in 3 anni di guerra fu di quasi 700.000 soldati morti – ma non esiste una contabilità precisa – e oltre un milione e mezzo di mutilati e feriti. Centinaia di morti quindi per ogni giorno di guerra. Un'intera generazione fu distrutta. L'impatto sulle comunità locali fu devastante sconvolgendo le famiglie e la demografia stessa. La battaglia di Gorizia, un massacro particolarmente assurdo in una guerra assurda, può essere considerata il simbolo di quanto accadde. La battaglia avvenne fra il 9 e il 10 agosto 1916: in poche ore costò la vita a 1.759 ufficiali e 50.000 soldati italiani e a 862 ufficiali e 40.000 soldati austriaci. La canzone “Gorizia tu sei maledetta” venne cantata per la prima volta da fanti che entrarono in città dopo l'immenso prezzo di sangue. Esprimeva un forte sentimento antimilitarista: chi veniva sorpreso a cantarla rischiava la fucilazione. Eccone un paio di versi:

 

O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza dolorosa fu la partenza e il ritorno per molti non fu.

 

MONTEBELLUNA DURANTE LA GRANDE GUERRA.

Tutto iniziò e terminò in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, nel Triveneto, nel Triveneto insomma. Montebelluna si trova nel cuore di questo territorio, ai piedi del Montello e a sud ovest del Piave. Montebelluna visse in prima persona la Grande Guerra 1915-1918.

Nel maggio 1916, ci fu il primo morto montebellunese. Dopo Caporetto, fra il novembre del 1917 e il novembre del 1918, i numeri diventarono più tragici e pesanti. Il territorio di Montebelluna venne bombardato dall'alto per 21 volte e colpito dalle artiglierie oltre Piave per ben 48 giorni. Ë stata, più che altre, una vera e propria città al fronte. Per esempio nella battaglia del settembre 1917 fu al centro dello schieramento italiano che bloccò l’avanzata degli austriaci, con davanti le armate settima, sesta, quarta, ottava e terza e alle spalle la nona armata di contenimento.

 

VILLA PISANI, MEMORIALE DELLA GRANDE GUERRA.

Tzvetan Todorov ha scritto che la condivisione della memoria non si può imporre, né programmare, ma che tuttavia la si può raggiungere, in tempi molto lunghi…

Tre leggi della memoria potrebbero essere: la Prima: l’importanza del contesto, che sempre cambia; la Seconda: si guarda al futuro per capire il passato; la Terza: la memoria collettiva non può esistere senza conflitto culturale.

A Villa Pisani di Biadene di Montebelluna, sarà realizzato un Memoriale della Grande Guerra, con scopo informativo e non celebrativo. Un’iniziativa altamente positiva.

Il sindaco Marzio Favero, ideatore del progetto così spiega l’iniziativa: «La scelta di recuperare e valorizzare la Villa è dettata da una serie di fattori. In primis il bisogno di salvare un bene culturale più importante della città prima che sia troppo tardi. Infatti, dopo quarant’anni senza manutenzione, la villa è ormai al limite della tenuta sul piano strutturale. Anno dopo anno i diversi ambienti interni sono andati spegnendosi per inagibilità. Ragion per cui il restauro è semplicemente necessario. Fra qualche anno sarebbe inutile perché troppo tardi. In secondo luogo, il progetto mira a trasformare Villa Pisani in un motore culturale e turistico utile a rilanciare a livello nazionale e internazionale il Montello, quale teatro della battaglia decisiva della Grande Guerra, in rete con gli altri comuni. Infatti, il progetto prevede che nel corpo più nobile della villa, quello ad H, sia realizzato non un museo, ve ne sono già una settantina in Veneto, bensì un Memoriale, cioè un centro di rappresentazione e interpretazione, interattivo e multimediale, in rete con i siti e i musei».

È previsto il recupero del corpo centrale a forma di “H” e di tutta l'ala est. Considerato il fatto che è agibile il Teatro Binotto sull'ala ovest e che saranno comunque fruibili dopo una sistemazione essenziale anche le sale al piano terra della parte nord ovest, al termine, di fatto l'80% dell'edificio sarà attivo. Il progetto di recupero è del dirigente dei lavori pubblici Roberto Bonaventura. La parte museale è curata dalla direttrice del Museo cittadino Monica Celi. Non sarà un museo con i cimeli esposti nelle teche, anche se qualche cimelio ci sarà, ma tante postazioni interattive, manifesti e foto a raccontare la grande guerra, grande massacro.

 

ALCUNI EPISODI DA RACCONTARE.

Vi sono stati molti episodi, a Montebelluna e dintorni, che raccontano la Grande Guerra per quello che in realtà è stata un Grande Massacro. Alcuni sono i seguenti.

 

Montebelluna abbandonata.

Dopo Caporetto a Montebelluna, come altrove, la popolazione rimase e sofferse o andò profuga in lontani luoghi dell’Italia e sempre sofferse. Coloro che abbandonarono Montebelluna furono le autorità. Significativo è un rapporto del 17 novembre 1917 del tenente colonnello Monfardini all’Intendenza della IV armata:

Le autorità sottosegnate di Montebelluna abbandonarono già da 5 o 6 il i loro uffici, e questa loro fuga fece una cattiva impressione nella popolazione rurale che quasi tutta è rimasta e avrebbe bisogno di aiuti e consigli.

Antonio Dal Colle, nel suo Diario di Guerra A Montebelluna dopo Caporetto, 10 novembre 1917 (sabato) racconta tutto ciò:

I nostri sono schierati sul Piave pronti a resistere. Il nemico li raggiunge. Per Montebelluna è un passaggio straordinario di soldati, carri, automobili – con un fango alto una spanna. I soldati della II Armata sono ancora in disordine nei nostri paesi producendovi danni straordinari. Nessun ordine di disciplina – molti soldati tornano a casa e si fermano per qualche giorno. Nelle case dei contadini si fanno delle grandi polente per i soldati affamati. I Guolo di Guarda ne fanno perfino 9 in una sera. A Boselli è succeduto Orlando, a Cadorna Diaz. Oggi si sentono i primi spari sul Piave: pare partano dal Montello. I paesi della destra del Piave devono sgombrare. Molti vengono trasportati al di là del Pò, altri si disperdono nei paesi sotto e attorno Montebelluna o nella campagna di Montebelluna. Le famiglie di S. Gaetano ne sono piene, in qualche famiglia ci sono 20, 30 e più profughi. Anche gli eroi di Montebelluna che in 8 giorni dovevano portarsi a casa Trieste in saccoccia se ne sono andati in fretta. Forse si saranno fermati a Napoli, oppure sono ancora a gambe levate. I palazzi di Pieve chiusi, chiusi i negozi, le botteghe. I soldati non trovano più da mangiare. Però i nostri buoni contadini dopo di aver dato i figli alla patria e quanto avevano al governo danno anche il po' di polenta che hanno ai soldati. E poi chi sono i veri amanti dei soldati, della patria? Anche il Sindaco Dall'Armi e il Segret. Baratto se ne vanno; però prima il sindaco chiama Mons. Prevosto al quale dà degli incarichi. Giù a Pieve un rumore indiavolato di carri. Un rapporto dei carabinieri, datato 15 novembre 1917, segnala al prefetto: «Le autorità sottosegnate di Montebelluna abbandonarono già da 5 o 6 giorni i loro uffici e questa loro fuga fece cattiva impressione sulla popolazione rurale che quasi tutta è rimasta e avrebbe bisogno di consiglio e d'aiuto: sindaco, segretario e tutti gli impiegati (salvo il guardiano delle carceri); cancelliere, pretore ed uffciale giudiziario; tutte le levatrici; tutti i medici civili compresi i due dell'ospedale e manicomio che vi abbandonarono 110 pazzi e 24 ammalate gravi, lasciandovi solo le suore; l'ufficiale postale e l'impiegato, che abbandonarono lettere e vaglia sul pavimento». (Archivio di Stato di Treviso, Gabinetto di Prefettura, b. 402, fase. Montebelluna, relazione datata 15 novembre 1917 del comando del 277 plotone regi carabinieri).

 

Fame a Valdobbiadene.

A Valdobbiadene, cittadina della Marca trevigiana, in una lapide che ricorda il tributo di sangue si può leggere: «CITTADINI UCCISI DA PROIETTILI N. 51 – CITTADIN MORTI PER FAME N. 484». Da dati ufficiali sappiamo che i soldati di Valdobbiadene morti in combattimento furono 214 e durante l'esodo per cause varie, malattie in genere altri 129. I numeri quindi dicono che la causa maggiore di morte fu la mancanza di cibo. 874 morti su un totale di 8.800 abitanti, 10% quindi. I più uccisi da una miseria che non permise loro di mangiare. La fame durante il Grande Massacro è raccontata in dettaglio da Francesco Jori nel libro Ne uccise più la fame. La Guerra della gente comune nel Triveneto.

 

Fucilazioni a Nervesa della Battaglia.

Dopo la rotta di Caporetto l’esercito italiano si assestò sulla linea del Piave. Furono giorni di confusione e di tensione, anche tra i vertici militari e le truppe. La brigata Treviso, è a Nervesa della Battaglia

Tre soldati, fra cui un caporale, erano stati sorpresi dal Colonnello Brigadiere Giuseppe Barbieri che uscivano da una villa di Nervesa con della biancheria, un paio di camicie e mutande pulite con le quali cambiarsi di indumenti sporchi e pieni di insetti. Vennero interrogati e tre ore arrivò dal Comandato di Brigata l’ordine di fucilarli. Invano valse il tentativo del colonnello stesso di far ridurre la pena.

Furono fucilati il 2 novembre 1917 da un plotone d’esecuzione che pianse per l’ordine assurdo. Dovettero presenziare ufficiali e compagni d’armi sgomenti. I fucilati non si lamentarono né vollero essere bendati.

L’Italia detiene il record pesante di essere al primo posto. In un esercito di 4 milioni e 200 mila soldati al fronte ne “giustiziò” circa 1.000. L’esercito francese che iniziò la guerra nel 1914, un anno prima, ebbe 6 milioni di soldati e 700 fucilati. Nell’esercito inglese furono 350 e in quello tedesco una cinquantina.

 

Prostituzione.

Durante la prima guerra mondiale si diffusero sempre di più nei paesi vicino alle zone di guerra, le case chiuse. Ma vi furono molte donne che si prostituirono non neii casini. Erano, per lo più, madri che non riuscendo a mantenere i figli mentre i mariti erano al fronte, erano costrette a prostituirsi pur di portare un pezzo di pane a casa.

Da un documento della storica Laura Matelda Puppini (Capitolo quarto di O gorizia tu sei maledetta…):

Maria G. e Anna V. con le figlie, furono internate perché, dopo essersi sottratte agli ordini di sgombero delle retrovie del Piave, si prostituivano clandestinamente nei pressi di Montebelluna, nuocendo «al buon ordine, alla disciplina e all’immagine dei numerosi reparti». Maria era vedova, Anna aveva dieci figli, tra cui tre, di 22, 18 e 17 anni, praticavano la prostituzione per mantenersi...

 

Francesco Cecchini


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