Neanche fosse il capo di un cartello di narco-trafficanti internazionali, il 10 maggio l’attore Stefano Dionisi è stato arrestato a Roma con l’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Pare che i carabinieri stessero pedinando il pericoloso criminale da diverso tempo e che già il 7 maggio scorso lo avessero fermato per accertamenti. Al fermo è seguita una perquisizione nell’abitazione dove sarebbero state trovate “alcune piante di marijuana e diversi grammi della stessa sostanza stupefacente già pronti per l’utilizzo”. Processato per direttissima, Dionisi è stato condannato a quattro mesi perché il giudice non ha creduto che la detenzione fosse per motivi personali.
La vicenda di Stefano Dionisi, a cui va tutta la nostra solidarietà umana, è l’ennesimo esempio di come, malgrado la Corte Costituzionale nel 2014 abbia cancellato le parti peggiori della Fini-Giovanardi, in Italia viga una legge di 25 anni fa di impianto strutturalmente proibizionista e punizionista.
Qualunque fosse il motivo per cui Dionisi avesse a casa la cannabis, e indipendentemente dal numero di piante che stesse coltivando, occorre che la triste notorietà di questo ennesimo attacco a scelte individuali che non hanno ripercussioni su altri – magari dettate da motivi di salute mentale – riapra il dibattito sulla necessità di depenalizzare totalmente la coltivazione e la detenzione personale a qualsiasi fine.
In attesa che il Parlamento riprenda l’iter per la legalizzazione della produzione, consumo e commercio della cannabis, i cittadini possono manifestare la loro contrarietà al proibizionismo firmando la legge d’iniziativa popolare lanciata dall’Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani e sostenuta da decine di associazioni.
Marco Perduca
Rappresentante all'ONU del Partito Radicale
e membro della giunta dell'Associazione Luca Coscioni