Lo scaffale di Tellus
Pina Rando. Dialogo con Enrico Palandri di Alberto Della Rovere
23 Dicembre 2015
   

Alberto Della Rovere

Dialogo con Enrico Palandri

Edizioni Saecula, pp. 140, € 10,00

Di storie in storia”

Nessuno testimonia per il testimone”

  

 

Dove arde una parola

che testimoni per noi due?

P. Celan

 

Se a primo impatto può apparire un’intervista di carattere letterario, subito dopo assume il sapore di una conversazione tra amici da cui si delinea lentamente il ritratto dello scrittore Enrico Palandri e si svelano aspetti ancora sconosciuti della sua opera. «Scrivo, taglio, cucio, lavoro moltissimo su ogni mio romanzo. Ma non è il comunicare il centro di questo sforzo. Al contrario una forma di resistenza, un tentare di non permettere che la ferita che si è aperta nel separarsi da un consenso, si stemperi e perda i suoi tratti vivi, spezzati, dolorosi».

Sappiamo che tra un’opera letteraria (romanzo, poesie, saggi ecc.) e la biografia dell’autore, tra il contesto in cui essa è stata scritta e quello in cui la stessa viene poi letta, c’è una frattura, un quid che vieta -come qualcuno asserisce- di assaporare il testo nella sua genuinità, e lascia certamente al lettore qualcosa da immaginare. Forse è questo carattere di indeterminatezza il bello delle opere letterarie, il bello che sfugge ad ogni sigillo e lascia ai lettori la massima libertà di interpretazione.

Nel testo, grazie alla varietà e alla oculatezza delle domande poste da Alberto Della Rovere, lo scrittore Palandri chiarisce molti di quelli che possono apparire punti oscuri della sua opera e il dialogo/intervista, si trasforma oltre che in documento, in un invito all’approfondimento della letteratura contemporanea del Novecento e, in particolare, degli anni ’60 e ’70.

Sfilano autori come Gianni Celati, Pier Vittorio Tondelli, Elsa Morante e tanti altri autori della letteratura della seconda metà del ‘900, analizzata anche nel rapporto con il cinema e l’arte.

Palandri racconta di sé nella consapevolezza storica del suo lavoro di romanziere e spiega con dovizia di particolari la sua visione di determinati fenomeni letterari come il Gruppo 63 che

...si è, purtroppo, lasciato logorare, in molti suoi membri, dalla propria continuità. In fondo sono nati per introdurre una rottura, e invece hanno poi celebrato i propri decennali regolarmente, quasi fossero una squadra di calcio o un negozio di guanti. I movimenti, i momenti sono interessanti perché vengono attraversati, ma le persone e il mondo cambiano, restarvi appesi perché si ottiene uno stanziamento da un comune che ti consente di celebrarti è controproducente.

Alberto Della Rovere segue un percorso dotato di senso che fornisce i mezzi adeguati per comprendere il ruolo dell’intellettuale Palandri nella cultura del nostro tempo e pertanto le sue domande, sempre ben congegnate, fanno da “guida” al lettore per accostarsi e comprendere a fondo il pensiero dell’autore a mio avviso intellettualmente onesto e affascinante.

Le risposte di Palandri sono sempre articolate e circostanziate, il procedere delle argomentazioni assume un tono ondulatorio che spesso torna sui punti più controversi, come parlando del romanzo Boccalone quando afferma …scritto con quello che resta di una crisi… si spezza un flusso, o meglio passa per altri percorsi, scava nuovi itinerari… oppure… Man mano che rispondo a queste domande mi chiedo se effettivamente esista questa opposizione tra Boccalone e gli altri libri. Un chiaro vedere se stesso nelle continuità del proprio divenire.

Pagina dopo pagina il libro di Alberto Della Rovere avvince per il fluire della conversazione che nella voce di Palandri diventa narrazione: egli, narrando di sé, esce da se stesso, razionalizza: …La vita, colta in ogni suo dettaglio, che risuona tanto più possente quanto più nessuna consolazione ideologica, religiosa, filosofica, ne copre la voce con un sistema. Dobbiamo proteggerci da questa consapevolezza, non possiamo fare altro, la nostra resistenza alla morte è fatta di illusioni, è la vita.

Palandri prende quasi la distanza dai suoi lavori, fa i conti con la memoria che mescola il vero, il vissuto, l’appreso, l’immaginario.

Nel dialogo evidenzia come attraverso la sua scrittura si sia posto nei confronti del mondo circostante per “sentire” in tutto il vasto significato semantico del termine implicando la “percezione” e talvolta la ri-creazione di quanto è stato oggetto della propria esperienza conoscitiva dell’ascoltare. Ascolto interiorizzato il “suo”, quale operazione non tanto fisica, quanto emotiva e psichica quasi un contatto empatico tra la realtà e il soggetto percepiente (vedi incontro con Elsa Morante).

Argomentare ondulante, ma sempre articolato, qualche volta sfumato di uno scrittore razionale, direi e… filosofico.

Alberto Della Rovere chiude il libro con un’intervista a Sandro Veronesi accostabile per molti aspetti a Palandri, entrambi dei “narratori puri”, fra gli ultimi rimasti – scrive l’autore – per i quali le storie divengono veicolo di comprensione del reale, capace di rendere trama quello che va sotto il nome di vita.

 

Pina Rando


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