Lo scaffale di Tellus
Angelo Andreotti. Il guardante e il guardato  
La Postfazione di Patrizia Garofalo
Angelo Andreotti (foto
Angelo Andreotti (foto 'la Nuova Ferrara') 
09 Dicembre 2015
 

Parole che si aprono ad immagini prima di essere dette, una sospensione dello sguardo e vibrazioni luminose che rimandano a Truffaut e Degas svelano fin da subito la valenza polisemica dell’atipico narrato.

Franco Patruno

 

il primo respiro si equilibra con l’ultimo. In mezzo c’è la vita, come noi la conosciamo.

Angelo Andreotti

 

Leggere questa raccolta è come avviarsi in un lungo viaggio durante il quale la parola si connota in una continua sospensione, e sfuma nel momento che preluderebbe l’avverarsi di un’azione. «Nel frattempo la luce radente della luna orla la notte modellando le ombre. Silenzio, eppure qualcosa si aggrappa all’aria in suoni che non dicono, ma raccontano» per suggerire altro, per accogliere la molteplicità della vita.

Angelo Andreotti coniuga il succedersi del tempo tra luci e ombre e nel compenetrarsi di entrambe. Odori, profumi e colori pervadono le pagine e stravolgono l’impianto tipico del racconto per farne parola poetica, musica e silenzio. Un’attenzione meticolosa ai particolari dona loro il diventare ogni volta filo conduttore e senso del testo: «Sulla sponda del letto c’è una vestaglia. L’ha sempre avuta e gliel’ha sempre vista dentro l’armadio, a casa, ma il senso di quella vestaglia in tutti questi anni lo comprende solo ora, […] strano contrasto: penombra nel corpo, e fresco; luce negli occhi, e caldo. Un brivido in mezzo».

Il tempo ineludibile della fine, i momenti che la precedono, l’addio e la memoria di ciò che è stato si avverano nel susseguirsi di molteplici piani d’ombra, dove le finestre impediscono al sole di entrare e all’intimità di perdersi nell’afa estiva. Un’intimità che non conosce parole, si addensa come nebbia nel silenzio entro il quale si coagulano pensieri, domande perse e un dolore che oscura ancor più la stanza («Pronuncia il nome, come per provarlo ancora una volta e il nome incide la sua lingua, la sua gola, le sue labbra, incide e brucia»).

È un parlare sommesso come una sequenza filmica che ferma stati d’animo, atmosfere rarefatte, silenzi non detti, messe a fuoco di gesti che da soli narrano il non-narrato, lo presuppongo, lo ricordano e sfumano poi nella luce e nell’ombra, nel parlare del vento, in sprazzi di gioia e di dolore profondo. È la vita nella sua essenzialità che l’autore offre al lettore, una mano che accompagna, un ricordo, una condivisione.

Si entra in punta di piedi nelle pagine di Angelo Andreotti e si procede quasi per incantamento: anche nello sguardo che coglie lo sciogliersi di una treccia davanti ad uno specchio, che riporta un viso avvizzito più dalle speranze tradite che dal tempo trascorso. E poi, in quello stesso racconto, un dipinto di Orfeo ed Euridice, di cui aveva tante volte fantasticato insieme al marito, la osserva mentre si corica con il volto rivolto verso la parte del letto vuoto. Ora è finalmente lei a guardare e segnare la fine di una storia come tante. Troppe.

In un altro racconto il tempo s’incunea nella pelle, una pelle che sfiorerà l’abisso del vivere nel ricordo perenne di una violenza: «Lei chiude le braccia a croce sul petto, come a coprire il seno, come a stringersi in un abbraccio [così] resta un solo vorace, insostituibile presente a contarle adesso il respiro, i battiti del cuore, e domani i passi, spiando e affiancando il senso del suo andare».

La compassione con cui l’autore accompagna il dolore di quel corpo e di quell’anima lacerata è così tangibile che la parola si impregna di una pietà che cura, abbraccia, condivide, soffre quasi a restituire la sacralità profanata. «Il silenzio accade solo in relazione a un’esperienza con l’altro, e anche con se stessi come altri da sé», scriverà l’autore molti anni dopo questa raccolta che nasce nei suoi anni giovanili.

Da queste pagine conservate per anni quasi celate “per troppo amore”, da questa parola che rende contigue poesia e prosa, parola e immagine, emerge quel silenzio complice nell’accogliere il mare d’anime che canta la nostra vita.

«Domani notte seguirà un altro sentiero, e in fondo a quel sentiero ci sarà un’altra casa con la luce accesa, perché c’è sempre una casa con la luce accesa di notte, in campagna. E una donna bionda con gli occhi neri, forse».

 

Patrizia Garofalo

 

 

Angelo Andreotti

Il guardante e il guardato

Introduzione di Flavio Ermini

Postfazione di Patrizia Garofalo

Book Salad, pp. 200, € 14,00


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